Viterbo, in fumo 840mila euro l’anno per l’ex Ospedale Grande
Costituisce solo la minima parte del patrimonio della Asl di Viterbo e, centesimo più, centesimo meno, potrebbe fruttare all’azienda sanitaria una ventina di milioni di euro. Il doppio dell’importo della gara d’appalto per il completamento della parte ospedaliera di Belcolle, in via di definizione. Invece, costa. E costa tantissimo: 840mila euro l’anno. Si tratta della rata del ”riscatto” dell’ex Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo, chiuso con un discusso provvedimento nel 2002 dall’allora direttore generale della Asl Giusppe Aloisio che, tra mille polemiche, lo dichiarò pericolante.
Nessuno, tra le amministrazioni di centrosinistra e centrodestra alla guida della Regione Lazio, è riuscito a metter mano al patrimonio delle Asl Lazio, tra le quali quella di Viterbo è, o meglio sarebbe, una delle più ricche.
Dal 2002 ad oggi, la Asl di Viterbo ha pagato 10 milioni di euro d’ammortamento della cartolarizzazione e dei relativi interessi. Praticamente ha ”bruciato” circa la metà del valore dell’immobile, sommariamente fissato tra i 18 e i 20 milioni di euro.
Non solo: negli ultimi 11 anni, infatti, il vecchio ospedale, voluto dalla famiglia Calabresi, sviluppato intorno a palazzo Farnese, praticamente a ridosso del palazzo dei Papi, è stato preda del degrado e dell’abbandono. Quindi, il suo valore economico, si va riducendo di anno in anno. Il rischio, ormai concretissimo, è che a ”riscatto” avvenuto, la cifra sborsata dalla Asl sia notevolmente superiore a quella che potrebbe incassare da un’eventuale vendita.
Tutto ebbe inizio nel 2002, quando l’allora governatore Storace, anticipando le mosse del ministro dell’Economia Tremonti, mise in campo la propria versione di ”finanza creativa” per coprire, almeno in parte, i debiti del sistema sanitario del Lazio.
Con 2 successive manovre finanziarie, la Regione Lazio, decide di coprire i debiti pregressi fino al 2000, procedendo alla cartolarizzazione dei beni delle Asl a destinazione sanitaria, come ospedali e poliambulatori. Viene così creata la Sinim, una società di cui controlla il 99% del capitale. Quest’ultima acquista in leasing i beni delle Asl e li ipoteca, ponendo a garanzia del debito gli ospedali e le varie strutture sanitarie . La Regione emette obbligazioni e riceve subito il contante dalle banche.
La seconda operazione finanziaria risale al bilancio 2002 e riguarda i beni non sanitari posseduti storicamente appartenuti alle Asl o acquisiti in seguito a donazioni. Tutti i patrimoni finiscono così in mano alla Gepra, una società di comunione di beni alla quale partecipano tutte le aziende sanitarie regionali. La Gepra, successivamente finita al centro di inchieste giudiziarie per varie ruberie, è stata poi azzerata e sostituita con un’altra società. Storace ha quindi una sola strada a disposizione: la cartolarizzazione.
Redazione Corriere di Roma
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