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TORVERGATA/Bimba morta, il primario si difende, fatto il possibile

policlinico-tor-vergata1«Una complicanza, che in casi così gravi può accadere, come documenta la letteratura scientifica. Non era un intervento di routine, non lo sono mai con pazienti così piccoli». Parla per la prima volta e difende il suo operato e quello della sua equipe il professor Mario Dauri, primario dell’Unità operativa anestesiologica del Policlinico Tor Vergata di Roma, dove mercoledì è stata operata la bimba di due anni e mezzo che è poi morta. «Personalmente ne sto soffrendo molto, sono anch’io padre di tre figli, mi metto nei loro panni – dice ai genitori -. Sono estremamente addolorato ed esprimo un senso di assoluta solidarietà». Ma contrasta punto su punto le accuse.«Non è vero che il collega che ha operato è inesperto – afferma – e non è vero che abbiamo sbagliato catetere». L’operazione era propedeutica a un trapianto di midollo osseo per curare una grave malattia del sangue. Dauri, 58 anni, dal 1990 si occupa di ematologia come anestesista. Dovrà comparire nelle inchieste giudiziarie e amministrative aperte sul caso. «Sono intervenuto durante l’operazione per il posizionamento del catetere venoso perchè chiamato, c’era una difficoltà (sarebbe durato 3-4 ore invece dei 40-60 minuti abituali, ndr) – racconta il primario -. Ma il collega titolare dell’intervento è esperto e in gamba, ha 50 anni. Tutta l’equipe aveva una preparazione adeguata. Ma questo non è un intervento di routine, come è stato scritto: in una bambina così piccola non è semplice. Si tratta di inserire un tubo di silicone in un piccolo vaso sanguigno. Non è assolutamente vero che è stato sbagliato il catetere, ne è stato usato uno pediatrico». In base ai risultati dell’autopsia sul corpo della bambina si ipotizza che invece il catetere fosse inadeguato o che sia stata sbagliata una manovra operatoria, provocando la rottura di una vena. Un polmone si sarebbe riempito di sangue provocando l’arresto cardiocircolatorio. «Dopo l’operazione la bambina è stata portata in ‘sala risveglì, affidata a personale qualificato. Ho ordinato una lastra al torace, come da procedura – prosegue Dauri -, ma non è compito dell’anestesista vedere cosa risulta dalla lastra. Ho dato disposizioni e lasciato la paziente a 3 anestesisti. Poi sono stato informato che erano intervenute delle complicazioni. Si è pensato subito a rianimarla e non sono certo passate tre ore, come ho letto sui giornali. So che la bambina ha avuto un pneumatorace, ma non ho letto il referto dell’autopsia». «Ci assumiamo tutti le nostre responsabilità e vedremo l’esito delle inchieste – dice Dauri -, ma questo tipo di complicanza che determina lesioni vascolari può accadere. L’anemia falciforme di cui soffriva la bimba è una malattia estremamente grave e il trapianto di midollo ha un alto tasso di mortalità». Al padre della bimba, Antonino Ascia, il primario del Policlinico risponde anche sull’accusa secondo cui l’equipe avrebbe abbandonato la paziente dopo l’intervento per andare a pranzo. «Non è assolutamente vero, abbiamo fatto altri interventi – dice Dauri -. Lui non c’era e gli avranno riferito così. Capisco la sua disperazione, ma purtroppo l’ematologia pediatrica è un setting piuttosto pesante. È stata data una chiave di lettura un pò distorta. Complicanze di questo tipo in interventi del genere possono accadere».

a cura della Redazione

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