Il basso profilo dei No Tav in trasferta a Roma - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Il basso profilo dei No Tav in trasferta a Roma

cort«Alla fine è andata bene. È stata una manifestazione molto partecipata e ricca di contenuti». Guido Fissore, 68 anni, consigliere comunale di un paesino della Valle di Susa, Villar Focchiardo, lascia Porta Pia con un sorriso: la pattuglia di No Tav giunta a Roma da quell’estremo fazzoletto d’Italia per partecipare al grande corteo di oggi è stata di sicuro la più fotografata, la più intervistata e la più citata negli slogan e nei coretti dei dimostranti. Ma la notorietà e la simpatia che negli ambienti dell’antagonismo raccoglie questo movimento – nato vent’anni fa semplicemente per dire no alla costruzione e al passaggio di una superferrovia ad alta velocità in una zona di montagna – ha avuto come robusto contraltare, oggi, un profilo volutamente basso: i circa 50 valsusini (rinforzati da alcuni torinesi) si sono raccolti dietro il loro striscione e hanno marciato come gli attivisti di un qualsiasi comitato, senza cercare di imporsi come capipopolo. D’altra parte ci avevano provato in tutte le salse, negli ultimi due o tre giorni, a far passare il concetto che quella di Roma non era una «manifestazione No Tav»: il fatto che fosse stata lanciata da vari movimenti a livello nazionale riuniti in assemblea l’estate scorsa a Venaus, proprio a due passi dall’odiato cantiere di Chiomonte, c’entrava poco o nulla. Mimmo Bruno, il sessantacinquenne ferroviere in pensione che si è sobbarcata l’organizzazione della faticosissima trasferta, lo ha ripetuto anche la notte scorsa, sul pullman, partito da Bussoleno, che stava divorando l’autostrada verso la capitale sotto la discreta sorveglianza delle pattuglie della polizia: «Ormai quando si parla di un corteo potenzialmente ‘caldò si parla di ‘corteo No Tav’. Questo perchè il potere sta cercando di far passare il messaggio ‘No Tav uguale Black Block’. Per delegittimarci. Siamo diventati i cattivi, i delinquenti per definizione. Ma noi siamo qui, con la nostra faccia. E non abbiamo paura». Mimmo impugna il microfono, dice ai compagni che sono «i cattivi» e i compagni annuiscono, sorridono, si sfottono: «Delinquente, vergognati, scendi subito dal pullman». Si fatica a credere che in questa comitiva siano in tanti ad aver subito denunce, indagini, processi: li guardi e vedi la ragazzina con l’I-pod alle orecchie, l’attempato signore con i capelli bianchi, la signora che legge un libro di Lilli Gruber o magari Giovanni, 57 anni, bancario di Bruzolo, che passa il tempo disegnando riuscitissime caricature di personaggi politici. Eppure è così: c’è chi è finito addirittura in galera e chi si sta difendendo da un’accusa di terrorismo. E tutti hanno la loro personalissima storia da raccontare nei panni della vittima, «quella volta che il manganello», «quella volta che il lacrimogeno», «quella volta che sono svenuto». Lo dicono anche all’agente delle forze dell’ordine che, a Roma, li vede con le loro bandiere mentre gironzolano dalle parti del Colosseo e si sente in dovere di avvicinarsi: «Dovete allontanare i violenti». E loro, di rimando: «Veramente i violenti non siamo noi. Qualche suo collega, su in Valle, lo è stato. Vada a chiederglielo». E sulla via del ritorno sono almeno un paio quelli che rimuginano su un fatto: proprio mentre sfilavano in buon ordine fianco a fianco davanti al ministero dell’Economia, qualche incappucciato ha pensato bene di scagliare le prime bombe carta. Sarà una coincidenza. Ma loro non ci credono più di tanto.

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