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Tuscia abbandonata e alla deriva, la rabbia degli imprenditori: c’è aria di rivolta

tuscia-forconiLa protesta dei Forconi non ha risparmiato la Tuscia. Al grido di “meno e fisco e meno Europa”, una quarantina di trattori e quasi 300 agricoltori, allevatori e commercianti hanno bloccato sabato pomeriggio, senza preavviso, la rotatoria di accesso al casello autostradale di Orte. Un accordo con le forse dell’ordine – 50 minuti di blocco, poi un’ora e mezzo di via libera alle auto, quindi altri 50 minuti di blocco, e via così – ha permesso di evitare incidenti. Ma si sono formate subito lunghissime code, soprattutto all’uscita dell’autostrada da Roma, per il grande traffico verso l’Umbria. Domenica, poi, blocchi dalle otto alle 20. Ed è stato soltanto l’inizio, in attesa della “marcia su Roma” di mercoledì scorso. Né poteva essere altrimenti. La provincia si sente abbandonata (non è l’unica…) e alla deriva, progetti di sviluppo coerenti non ce ne sono. C’era un polo industriale importante, le ceramiche di Civita Castellana, ma la disorganizzazione, il pressapochismo (e lo sperpero di tanti fondi comunitari) ne hanno compromesso, nonostante qualche isolata riuscita, il decollo. C’era il progetto dell’aeroporto di Viterbo, ma è anch’esso sfumato: e non è nemmeno un male in quanto, per collegarlo con Roma, ci sarebbe stato da spendere almeno un miliardo per i collegamenti ferroviari e stradali. C’era poi – e c’è ancora, ma sembra al momento ignorato – il retroterra del porto di Civitavecchia, Roma a Sud, la Tuscia a Nord. Nonostante la crisi, i numeri dicono che il porto “sta crescendo”. Civitavecchia è diventato in pochi anni il primo porto per le crociere del Mediterraneo. Per i croceristi, una sola meta: Roma. E, per chi non vuole andare per monumenti nella Capitale, il golf di Tarquinia. A breve sarà operativo il terminal container. Ma l’unica cosa certa è l’ “imbottigliamento” dell’Aurealia che ne deriverà appena i camion usciranno dalla cinta portuale. Due esempi – le crociere e i container – che dimostrano un’unica cosa: la Tuscia, terra di passaggio obbligata, non ha infrastrutture, cioè strade e autostrade, che ne favoriscano lo sviluppo in due settori importanti quali il turismo e i trasporti. Anche una delle ultime decisioni del governo, la realizzazione della Orte-Mestre, ha deluso: senza il completamento (una ventina di chilometri appena, da Vetralla all’Aurelia) della Civitavecchia – Viterbo non si può pensare che il viterbese ci possa guadagnare qualcosa. La rabbia degli imprenditori che “credono” nelle potenzialità della Tuscia è una realtà, e rischia di aumentare ulteriormente perché sono convinti che il governo stia sbagliando e temono che il governo delle “larghe intese” Enrico Letta – Angelino Alfano possa essere loro meno vicino di quanto, nell’esecutivo, c’era per esempio il notabile dei Ds (ex Dc, ex Margherita) Fioroni. L’Italia si arrabbia, i partiti sono costretti a fare economie e chi rimane senza le attenzioni, e in qualche caso i favori cui era abituato, protesta. Qualcuno, si spera tra Viterbo e Civitavecchia, finirà pure, prima che sia troppo tardi, per lanciare un salvagente alla Tuscia. A parole, uno sembrerebbe il rilancio dell’idea di fare un aeroporto: non più a Viterbo, ma a Tarquinia. Se ne è fatto promotore qualche mese fa Fioroni, e da allora i politici locali cercano di cavalcarla, anche perché non hanno molto altro da altro da promettere. Fioroni ha preso atto della fine del sogno aeroportuale civile a Viterbo e ha proposto che esso venga realizzato lungo la provinciale litoranea dove c’era, fino a qualche anno fa, un aeroporto militare. Fioroni ne ha parlato anche con il ministro Maurizio Lupi – stessa estrazione politico- fideistica, molto dentro a Comunione e Liberazione e al mondo economico-finanziario vicino ad essa – convincendolo ad inserire l’ipotesi di un aeroporto in un “progetto Tuscia” che deve ancora prendere corpo, cosa che avverrà probabilmente quando anche in Italia la ripresa, per ora soltanto preannunciata, sarà una realtà consolidata. Interessati all’ipotesi Tarquinia sono stati, in passato, investitori cinesi collegati in qualche modo al porto di Civitavecchia. Tanto che qualche giornale, quando il miliardario Chen Feng si è interessato qualche settimana fa alla squadra di calcio della Roma ha scritto che forse lo era anche per un non meglio precisato “progetto Tuscia”. Ad oggi gli unici che danno l’impressione di credere nelle possibilità di sviluppo della Tuscia sono…gli immigrati. In provincia ci sono più di 2200 aziende (tra il 6 e il 7 per cento del totale) di cui sono titolari stranieri: romeni, albanesi, marocchini… e anche cinesi (poco più di 100). Purtroppo Viterbo, come l’intero Lazio, è anche un’area dove i fallimenti sono più numerosi. E dove uno dei grandi pericoli è l’usura. Le vittime, precisa chi cerca di difenderli dalla “piovra”, sono in maggioranza piccoli negozianti (dai fruttivendoli ai venditori di abbigliamento agli alimentari, sui 50/60) incapaci di resistere alla crisi e di adattarsi a nuovi lavori. Spesso il prestito e la restituzione avvengono in giornata, con un pizzo del 10 per cento. Carlo Rebecchi

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