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Sos bilancio Roma, Marino minaccia le dimissioni

Ignazio-Marino3«Se c’è bisogno di un commissario liquidatore che licenzi il personale, venda Atac e Ama, dismetta Acea e metta in cassa integrazione tutto il personale io non sono disponibile a fare quel lavoro». Non ci sta il sindaco di Roma Ignazio Marino che alza la voce minacciando di fatto le dimissioni dopo il ritiro del dl Enti locali, ormai noto come Salva Roma. Intanto, oggi, è stata una giornata di incontri e riflessioni sul da farsi: prima con un tavolo convocato d’urgenza a palazzo Chigi al quale ha partecipato anche il sindaco Marino che, perentorio, ha detto: «io non ho davvero nessun interesse di mettere la mia faccia su un disastro annunciato». Poi per il sindaco un incontro al Ministero dell’Economia e delle Finanze per una prima analisi approfondita della bozza del nuovo provvedimento per salvare la Capitale. Ma in serata, su facebook, Marino commenta: «Roma continua ad essere ostaggio dell’ostruzionismo ideologico di chi, come Lega e M5S, per esprimere la propria contrarietà al nuovo governo attacca la Capitale d’Italia senza preoccuparsi delle conseguenze, senza capire che a farne le spese sono milioni di cittadini». Una situazione che spinge le opposizioni in Campidoglio a chiedere le sue dimissioni. «A questo punto Marino prenda atto della umiliante sconfessione politica da parte di Renzi, e si dimetta», «Marino deve dire se ha una strategia per fronteggiare questa emergenza altrimenti è meglio che si dimetta immediatamente» hanno sentenziato Sveva Belviso (Ncd) e l’ex sindaco Gianni Alemanno, mentre per Alfio Marchini «si sta confermando la fallimentare politica dello struzzo adottata dal sindaco Marino e da noi denunciata in occasione dell’approvazione del bilancio 2013». E non ha mancato di dire la sua anche Linda Lanzillotta che per prima ha presentato degli emendamenti definiti ‘contro Romà: «se due consecutivi decreti emanati dal Governo Letta per salvare Roma non sono stati approvati dal Parlamento – ha spiegato – forse c’era qualche problemino che non era la Lanzillotta».

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