Lasciata sola ad abortire al Pertini? La Asl RmB fornisce un’altra versione - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Lasciata sola ad abortire al Pertini? La Asl RmB fornisce un’altra versione

ospedale sandro pertiniLa vicenda è esplosa fragorosamente sui media in questi giorni, ma risale qualche anno fa. La cassa di risonanza di cui dispongono i radicali è notevole, la questione dell’obiezione di coscienza è di capitale importanza, nelle more forse si sono sono persi elementi importanti. Aveva denunciato di essere stata abbandonata ad abortire in un bagno dell’ospedale Sandro Pertini di Roma Valentina Magnanti, 28 anni, portatrice di una malattia genetica trasmissibile molto rara, che l’ha costretta a rinunciare a mettere al mondo suo figlio, nell’ottobre del 2010, al quinto mese di gravidanza. Oggi la Asl RmB, in un comunicato, smentisce, dichiarando che la ragazza è stata «seguita da due medici non obiettori», e l’espulsione del feto sarebbe avvenuta «nella stanza di degenza». Intanto,  «la Asl Roma B ha provveduto ad effettuare una verifica su quanto dichiarato dalla signora Valentina – si legge nella nota – e cioè di essere stata lasciata senza assistenza durante un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) avvenuta nell’ospedale Pertini nel 2010». «Dalle verifiche risulta che la signora Valentina è stata seguita dal personale che ha l’obbligo dell’assistenza anche nel caso di obiezione di coscienza. Nel caso specifico c’erano due medici non obiettori che fanno parte dell’equipe istituzionalmente preposta all’Ivg. Pur comprendendo il disagio dovuto al lungo periodo di travaglio – continua la nota – si fa presente che la rapidità della fase espulsiva del feto, avvenuta nella stanza di degenza alle ore 3 della notte, è un evento assai comune per il periodo gestazionale. La signora Valentina comunque è stata prontamente assistita e avviata alla sala parto per le successive procedure previste nel post parto». Valentina sognava un figlio, un bambino che avesse una vita normale, invece la sua malattia l’ha penalizzata perché, secondo la legge 40, non ha accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto. Valentina ha sporto denuncia solo in un secondo momento, quando ha deciso di rivolgersi all’associazione Coscioni con cui ha fatto ricorso, affinché anche chi ha malattie genetiche possa accedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto. Intanto, il tribunale, per la seconda volta in due mesi, ha sollevato dubbi di costituzionalità su questo punto della legge, a 10 anni dalla sua entrata in vigore. Forse si prospetta un orizzonte nuovo, anche per lei, che possa realizzare il suo sogno di diventare madre.
Alessandra De Gaetano

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login