Sfrattato e disoccupato: “I servizi sociali mi dicono che non possono fare nulla” - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Sfrattato e disoccupato: “I servizi sociali mi dicono che non possono fare nulla”

Romano, 45 anni, la storia di Mario induce a dubitare sull’efficacia delle politiche di assistenza fornite dal comune di Roma

Sabrina Alfonsi, Presidente del I Municipio (Ex XVII)

Sabrina Alfonsi, Presidente del I Municipio (Ex XVII)

Pubblichiamo la testimonianza-verità di Mario che insorge contro le dichiarazioni delle due presidenti del I e del XII municipio dopo aver letto le interviste su Il Corriere di Roma.
«Sono un cittadino romano di nascita e desidero scrivervi non esattamente per raccontare la mia storia, che poi è quella di molti qui in città, piuttosto perché mi sento di smentire quanto dicono i vari presidenti da voi intervistati in merito alla Roma (s)governata, ovvero: «Ciò che viene gestito interamente dai municipi sono i servizi sociali»,Sabrina Alfonsi
«I pochi fondi a disposizione, difesi con i denti, sono destinati al sociale. Su questo non si transige», Cristina Maltese. Bene. Il sottoscritto vive in strada da quasi 4 anni. Sono uno sfrattato per “morosità involontaria”, ed ho dovuto anche chiudere la mia attività commerciale. Trovare lavoro a 45 anni è un’utopia e anche rimettersi in proprio è impossibile senza fondi. I sopra decantati Servizi Sociali non sono stati in grado di darmi nessun vero aiuto per uscire da questa situazione. Semplicemente mi hanno dato un totale di 3400 euro di contributo economico in 4 anni. Mi hanno poi parlato di tirocini lavorativi, di risarcimenti per lo sfratto, di contributi abitativi e tante altre belle cose, ma la verità è che non fanno mai nulla trovando sempre la stessa scusa: «devono approvare il bilancio e quindi dobbiamo aspettare i fondi». Ritengo che i Servizi Sociali andrebbero chiusi. Gli assistenti sociali sono degli incompetenti. Non sono in grado di battere i pugni sul tavolo del Comune e chiedere soldi, non sanno indicare nessun percorso all’individuo (al massimo ti indicano quello verso la più vicina Caritas) e se tu gli chiedi un aiuto, magari per fare un corso professionale di reinserimento, ti dicono che non possono fare nulla. Beh, ma allora se noi indigenti dobbiamo sempre arrangiarci da soli, che chiudessero. Ci fanno più bella figura e a noi risparmierebbero l’umiliazione di “chiedere aiuto”».

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