L'eterna promessa della politica capitolina - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

L’eterna promessa della politica capitolina

Post-democristiano, in partita da sempre. Una garanzia. Enrico Gasbarra? Presente

Enrico Gasbarra

Enrico Gasbarra

Il più importante partito politico italiano, la Democrazia Cristiana, è ormai soltanto un ricordo, un pezzo della storia del Paese. Spazzato via da Tangentopoli e da Silvio Berlusconi, che lo ha in buona parte sostituito. Eppure  è probabile che, come si diceva una volta, “moriremo democristiani”. Perché, se è vero che la Democrazia Cristiana non c’è più,  su un punto tutti sono d’accordo: i veri democristiani sono ancora tra noi, più vivi che mai. Non moltissimi, ma tutti in posti importanti; e riconoscerli non è difficile. Il loro “modello”, identificabile anche da chi la politica la mastica poco, è un uomo politico diventato, anche grazie al cine,a quasi una leggenda: il “divo Giulio”,  Giulio Andreotti. Uno che non ha mai alzato la voce, e che nelle larghe intese si è sempre trovato a suo agio. E che, se non dei cloni, ha degli imitatori che di strada potrebbero farne molta. Uno di questi? Enrico Gasbarra.

Si, proprio il deputato “piddino” è il “democristiano” che vive e lavora con noi. Atteggiamento sornione, apparentemente mai interessato a quello e a coloro che lo circondano; in realtà ambizioso e, dicono molti di quelli che lo conoscono, in politica “spietato” come può esserlo chi da ogni elezione alla quale si è presentato è sempre uscito vincitore. Del resto, questo bel ragazzo, 52 anni portati splendidamente, la Dc ce l’ha nel DNA. A sedici anni era già iscritto alla Democrazia Cristiana, a diciassette il primo successo in un’elezione, quella a presidente regionale del Movimento Giovanile della DC. A “crescerlo” sono stati i “Grandi” di questo partito: prima quelli riuniti attorno a Emilio Colombo, poi  quelli – a Roma imperanti – del sodalizio Andreotti&Sbardella (il che spiega anche la “fede” romanista). Ne è uscito un post-democristiano di rito andreottiano, favorevole alle larghe intese: non a caso, quando si è sposato nel 2001 – tra i 600 invitati Giulio Andreotti, Massimo Ghini e Lando Fiorini – i suoi testimoni furono Walter Veltroni e Storace. Il diavolo e l’acqua santa.

E’ sventolando la bandiera delle intese più ampie, che per lui non è una forzatura ma una convinta visione della politica, che – nel 2003 – Gasbarra, a 40 anni, è stato eletto presidente della provincia di Roma (territorio di 121 comuni compresa la capitale Roma con 4 milioni di abitanti) con un milione di voti, e imponendosi al primo turno con il 53% dei suffragi; Democratici di sinistra, Margherita, Rifondazione comunista, Verdi, Udeur, Comunisti Italiani, SDI, Italia dei Valori e Sinistra democratica i partiti della sua coalizione. Tutti meno che i berlusconiani. E pensare che  dieci anni prima, quando era consigliere  comunale di Roma e vicesindaco di Francesco Rutelli – e Forza Italia non era ancora nata – era stato contattato da Mediaset (ricordate, il partito-azienda?) che di li a poco, con la “discesa in campo” dell’allora Cavaliere, avrebbe sconvolto il panorama politico italiano. Il ‘feeling’ però non era nato, e tutto era finito prima ancora di nascere.

A quel punto, però, Enrico era già più che una promessa del centrosinistra. Dopo essere stato eletto nel 1983, a 25 anni, consigliere della prima circoscrizione di Roma (e presidente della commissione traffico-urbanistica), nel 1989 era stato rieletto a Roma ed era diventato anche consigliere comunale di Cittareale (Rieti). E così, nel giorni in cui Berlusconi Scende in campo, diventa presidente del consiglio comunale di Roma e l’anno dopo, 1994, vice-sindaco nella giunta di Francesco Rutelli; contestualmente aderisce al Partito popolare italiano. E’ una stella nascente, l’ex Pci sta reclutando nel mondo cattolico, Walter Veltroni fa sognare chi spera in un partito “americano”, Goffredo Bettini è l’organizzatore strategico, giovani di valore sono necessari per arginare le novità berlusconiane.  Nel 2000 Gasbarra è consigliere regionale del Lazio (con 13.000 voti di preferenza), nel 2001 – ormai nella Margherita – è vicesindaco di Walter Veltroni; nel  2003, a quarant’anni, la trionfale elezione a presidente della Provincia (2003-2007).  Tutti lo considerano ormai destinato a una trionfale elezione a sindaco di Roma. Invece  no, dopo l’adesione al Partito democratico (2007), nel 2008 c’è l’ingresso a Montecitorio, bissato lo scorso anno.

In quella che molti definiscono “la palude” del parlamento, Gasbarra non si perde. Appena sfiorato poco prima da un “affaire” relativo ai costi (eccessivi) della politica – tre milioni e mezzo di euro distribuiti  quand’era presidente della provincia a una ventina di consiglieri di diversi partiti quale contributo “per i mancati guadagni per la loro attività professionale privata” –  diventa l’”uomo della provvidenza” per rimettere ordine nel partito democratico romano. Un partito, nel 2011 e dintorni, ingovernabile, diviso in correnti che si fanno una guerra spietata, e per questo commissariato. Gasbarra, esponente dell’area “dem” che fa riferimento a Dario Franceschini, ne diventa segretario nel 2012, e lo guida sulle posizioni di Pierluigi Bersani, al quale è fedele fino in fondo. Ma aperto al dialogo con tutti, senza mettersi mai di traverso sulla strada degli emergenti Matteo Renzi o Gianni Cuperlo. Al punto che oggi i “renziani” lo considerano uno di loro e non è escluso che possano sceglierlo, se sarà necessario, per una missione di prestigio: magari per la carica di sindaco di Roma Capitale per la quale sembrava predestinato, se Ignazio Marino dovesse passare la mano. Il tutto senza polemiche o torni aspri perché, come gli è capitato di dire, è prima di tutto “uno normale”.

Carlo Rebecchi

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