“A Roma siamo all’anno zero” - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

“A Roma siamo all’anno zero”

Parla Carla Collicelli, Vicedirettore del Censis

Carla Collicelli

Carla Collicelli

I drammi della solitudine e della malattia sono sempre più frequenti al punto che ormai “non fanno più notizia”. Il livello d’attenzione è analogo a quello degli incidenti stradali: se ci sono meno di due morti, le agenzie di stampa non ne danno notizia. A meno di particolari punti di interesse, lo stesso avviene per la persona che uccide il parente malato, o per il suicida causa solitudine  o malattia. Poche righe in cronaca sui giornali locali. Tanto il lettore che non reagisce più; non si chiede nemmeno come qualcuno, forse il vicino, possa imboccare la strada senza ritorno che porta al dramma e alla morte senza che nessuno se ne accorga. Senza che nessuno si chieda perché non c’è un sistema per evitare cose del genere; come mai, per esempio, per monitorare la galassia di chi è a rischio non si utilizzino le nuove tecnologie, che fanno “miracoli” in tanti campi: perché non usarle anche per individuare, o aiutare, chi vive solo, magari vecchio e malato.

Il punto di partenza dovrebbe essere di avere uno strumento, una mappa, con in memoria tutte le famiglie, o gli individui, a rischio, in modo che possano essere seguiti e, se necessario, aiutati. “Purtroppo non esiste al momento nessuna ‘rete’, nessuna ‘mappa’ del genere, con l’indicazione delle famiglie che hanno problemi,  quelle nelle quali ci sono uno o più malati o handicappati o persone con problemi di qualsiasi altro tipo; o quelle di anziani, spesso costituite da una sola persona, con redditi minimi e privi di autonomia. In passato c’era la rete dei familiari, che ora non esiste quasi più. Negli ultimi 20/25 anni non siamo stati capaci di sostituirla con alcunché, non siamo riusciti a creare reti di supporto territoriale. Solamente tante parole. E a Roma siamo all’anno zero”, spiega al Corriere Carla Collicelli, dal 1983 vicedirettore generale del Censis, l’istituto che da anni studia l’evolversi della società italiana e fornisce a chi ci governa analisi e suggerimenti  di cui soltanto raramente, purtroppo, i politici tengono conto. Laureata in filosofia e specializzata in Germania, Collicelli ha insegnato sociologia  dei servizi sociali a Roma a Roma 3 e sociologia della salute alla Sapienza e collabora in qualità di docente a numerosi master delle università della Capitale.

La “fotografia” più recente del “disagio” a Roma è quella “scattata” da una indagine realizzata proprio dal Censis non più di due anni e mezzo fa. Il dato principale era che circa 324.000famiglie romane (il 28 per cento, cioè più di una su quattro, del totale) avevano al loro interno “almeno una forma di disagio”, cioè almeno una di queste situazioni: non autosufficienza, disabilità, disoccupazione di lungo corso, persone che vogliono uscire dalle famiglie e non ci riescono, redditi bassi, giovani che non studiano a non lavorano, persone di almeno 50 anni che cercano lavoro.  Questi i numeri per tipologia di disagio: 91.000 non autosufficienti, 53.000 giovani che non lavorano e non studiano, 26.000 persone con almeno cinquant’anni che cercano lavoro, 54.000 disoccupati di lungo corso, 68.000 diversamente abili/disabili, 112.000 membri che vorrebbero andare a vivere per conto proprio e non ci riescono, 106.000 famiglie con reddito basso.

Tutte famiglie potenzialmente a rischio, con il pericolo che diventa più grande con il sommarsi dei fattori di disagio: povertà, disgregazione, malattia, solitudine. L’anziano benestante e con famiglia può sopportare senza drammi la malattia.  Non così l’anziano solo, spesso con qualche malattia, e magari in situazione di povertà. Che spesso, a causa dell’età, non sa neppure a chi e dove segnalare la propria situazione di disagio. Perché se i casi vengono segnalati, qualcosa si fa. “In alcune regioni ci sono state in passato, e ci sono anche oggi, esperienze interessanti. In collaborazione con le Asl e con altri enti, anche di volontariato, sono state sviluppate iniziative di assistenza domiciliare e telesoccorso. Anche a Roma si è fatto qualcosa.  Ma nella Capitale c’è soprattutto tanto chiacchierume. C’è comprensione intellettuale, ma gli addetti ai lavori non riescono a superare i limiti burocratici, sorgono intralci sindacali, di competenze. Col risultato che non si va ai fatti”.

Ma allora, dobbiamo accettare il ripetersi dei soliti drammi, senza poterli evitare mai?  Visto che, specie nelle grandi città ogni persona è un’isola, così parrebbe. Eppure, per uscirne, i mezzi, per esempio tecnologici, ci sarebbero. “La mappatura delle famiglie a rischio può essere fatta, solo bisogna volerlo”, dice Carla Collicelli . Che prosegue: “Davanti alla stazione Termini ho visto due  donne anziane in carrozzella, due ‘barbone’, tutte le loro cose in una busta di plastica. Al vederle mi si è stretto il cuore. Sono solo una piccolissima parte visibile della realtà che non vediamo. Ma come si può essere i responsabili di una città senza curarsi di casi del genere, se non altro per umanità?”. Per la direttrice del Censis, che questi problemi li studia e analizza anche su scala europea, anche a Roma “ci sono cose che si possono fare. Per esempio riunendo attorno ad un ‘tavolo pubblico’ aziende private e rappresenti del volontariato per un progetto di canale informatico che permetta di mappare le famiglie a rischio”. Ad un livello superiore si potrebbero poi realizzare iniziative di auto-aiuto, con il coinvolgimento dei cittadini, sul tipo di iniziative come ‘adotta un anziano’”.

Viene da dire: “Basta parlare, passare a fatti concreti”. L’Italia (statistiche Censis) è il paese “più vecchio” d’Europa. Oggi gli over 60 sono il 20,3% della popolazione e nel 2030 saranno il 26,7%; gli over 80 passeranno dal 6% all’8,8%, gli over 85 dal 2,8 al 4,6. E gli ultracentenari, che nel 2000 erano 5.650 sono già oggi 15.000. Magnifico. Il brutto è che con l’età si rimane soli e ci si ammala facilmente: e se il 53% è autosufficiente, il restante 47% non lo è. Trovare adeguate formule di presenza e assistenza è un obbligo civile oltre che umanitario. E non potrà che aiutare l’economia: un programma efficace di aiuto alle famiglie e alle persone con disagio  può infatti far nascere nuove aziende e nuove professionalità.

Carlo Rebecchi

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