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Tranquilli, il machete del sindaco è spuntato

Prima Alemanno, ora Marino, hanno temporeggiato per oltre 6 anni senza intervenire sull'adeguamento normativo nella concessione del salario accessorio ai 24mila dipendenti comunali. Ora il ministero dell'Economia impone un taglio alle buste paga (in media 200 euro a testa) e un allungamento degli orari e delle prestazioni. Peccato che Roma e i romani siano gli ostaggi di questa trattativa. Bastano 24 ore di minacce e il sindaco cambia e chiede a via XX settembre di dargli più tempo e di trovare una soluzione per non decurtare i salari. Le elezioni europee incombono e il Pd ha paura

20130716_ignazio-marino-L’immobilismo costa caro. Il chirurgo Ignazio Marino, dopo un anno di tentennamenti  ha usato il machete sui 24mila dipendenti pubblici aggredendo – o ventilando di aggredire – i salari dei suoi dipendenti per un importo medio di 200, 300 euro netti al mese. E di questi tempi tagliare gli stipendi – che per la maggior parte dei dipendenti capitolini non superano i 1.500 euro netti al mese – è il metodo sicuro per mettere in scacco una città. Neppure il tagliatore Giulio Tremonti profeta dei tagli lineari su modello europeo  aveva adoperato i tagli lineari con tanta leggerezza. E profondità.
Il ministero dell’Economia per sganciare un  assegno di oltre 800 milioni – ed evitare il fallimento dei conti di Roma Capitale – ha imposto proprio con il Salva Roma un taglio anche agli stipendi. O meglio: della parte del salario definita componente accessoria, una stratificazione di benefit e integrazioni moltiplicata dalla giunta Veltroni a quella Rutelli.
Marino ha insistito così tanto con il Salva Roma che alla fine Palazzo Chigi ci ha infilato dentro la clausola: Salva Roma, ma ammazza  Romani. Invece di intervenire chirurgicamente, si è preferita la strada della mannaia, che a fine mese rischia di trasformarsi una decurtazione della busta paga dei capitolini del 20, 25%.
L’assemblea muscolare dei dipendenti del 6 maggio in Piazza del Campidoglio è solo l’antipasto di quello che potrebbe succedere a Roma nei prossimi mesi. Non qualche sciopero condensato in giornate da incubo. La strategia dei sindacati è di organizzare una grandinata di assemblee e mini scioperi (di 2 o 3 ore), facendo saltare l’organizzazione della vita dei romani e mandando su tutte le furie i cittadini.
Marino avrebbe fatto  bene – invece di cercare di sedare la rivolta con uno stentoreo e ognivago comunicato a tarda sera – a uscire sulla piazza con le mani alzate e a cominciare a trattare. Invece si è nascosto dietro ad un comunicato serale promettendo di trovare una soluzione con il governo. Campacavallo. Il problema è che i comuni in dissesto finanziario strutturale non possono fare altro che tagliare dove gli indica il ministero dell’Economia. Punto.
Possono, al massimo, dirottare un taglio da un capitolo di bilancio all’altro, ma poco di più.
Se Marino, e Alemanno prima di lui, non avessero fatto spallucce per mesi o anni, oggi non bisognerebbe tagliare gli stipendi e i servizi. Invece tra pastette politiche e leggerezze si è arrivati al punto di dovere pagare meno i lavoratori. Certo si poteva migliorare la produttività per tempo (più ore lavorate a parità di reddito), invece si vuole tagliare lo stipendio e aumentare le ore. Un po’ troppo pure per i dipendenti pubblici.
Di più. I tagli ventilati riguardano pure quelli che lavorano sodo – come i docenti delle scuole comunali –   che già promettono di terremotare gli ingressi a scuola nei prossimi mesi, con un effetto a cascata sulle famiglie che si troveranno a far i salti mortali per portare i pargoli a scuola con i nuovi orari degli scioperi e delle assemblee.
Marino avrebbe fatto bene a pianificare meglio l’intervento di risanamento. Ora la minaccia è chiara e lavoratori e sindacati non si faranno prendere alla sprovvista.
I dipendenti capitolini possono mettere in scacco la città (Vigili, servizi di rimozione, giardini, scuole, municipi),  i sindacati hanno già ammonito: “Siamo i veri custodi delle chiavi della città”.  E ora promettono scioperi e manifestazioni con l’intento di mettere in “blocco la città”. Un antipasto c’è stato proprio nel giorno dell’assemblea sotto a Giulio Cesare. Roma nel caos, vigili a braccia incrociate e traffico in delirio. A San Giovanni, ad esempio automobisti in preda ad una furiosa crisi di nervi procedevano addirittura contromano, tanto nessuno controllava e dirigeva.
Antipasto, appunto. Ma la portata forte di questa agitazione deve ancora arrivare. Perché se è sacrosanto il diritto di sciopero e assemblea dei lavoratori, c’è da chiedersi quanto costeranno in mancato reddito prodotto gli effetti di questa interminabile protesta permanente ai romani e a Roma. Quanti camion non scaricheranno, quante persone arriveranno tardi al lavoro o mancheranno un appuntamento? Quanti turisti – merce preziosa anche per le entrate comunali visto il rincaro record dell’imposta di soggiorno – fuggiranno a gambe levate per evitare di essere fagocitati dagli scioperi. Quanto vale tutto questo?
La beatificazione dei due Papi ha portato a Roma circa 1 milione di turisti, con incassi miliardari per Roma. Marino ha stimato i costi (8 milioni) per l’organizzazione dell’evento mondiale. Ma sembra aver trascurato l’effetto volano per la nostra città. O quanto meno non ne ha accennato.
Ora rischia di ripetere l’errore sottostimando l’effetto di uno stato di agitazione permanente dei 24mila dipendenti comunali.
Tralasciando anche il non da poco particolare che l’effetto nell’urna alle elezioni europee di fine maggio potrebbe essere se non devastante per il Partito democratico – che mal tollera questo sindaco ingestibile – molto rilevante a livello locale. Sempre che tutto ciò non sia voluto.
Forse era meglio ritoccare l’Irpef comunale per i più abbienti, racimolare dagli avanzi di bilancio gli 80 milioni necessari e poi attrezzarsi per far lavorare di più e meglio i dipendenti, così da giustificare l’accessorio di stipendio. Portare la trattativa ad un braccio di ferro non serve. Sicuramente non serve ai romani.

Leonardo Giocoli

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