I rom, il ferro e la delibera fantasma - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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I rom, il ferro e la delibera fantasma

Regolarizzare l'attività illegale, regolamentarla, porterebbe almeno duecento milioni all'anno nelle casse del Comune. Teoricamente chi traffica senza permessi rischia anche multe per commercio illecito di rifiuti Crescono i sequestri da parte della polizia municipale

commercioillegaleRegolamentare. È questa la parola chiave, che piace tanto alla politica – sia a destra che a sinistra –, per mettere ordine nel settore dei ferrovecchi ambulanti di Roma. Secondo le stime, infatti, la filiera abusiva rappresenta un terzo di tutto il mercato del ferro. “I fenomeni illegali o li domini o li subisci”, ripetono alcuni consiglieri comunali. Risultati? Nessuno. Perché dopo tante parole, due anni e una proposta di delibera, le uniche novità sono le cifre della polizia municipale che raccontano di sequestri di materiale ferroso e di discariche a cielo aperto. Numeri in costante aumento, proprio come quelli che riguardano un’economia sommersa che sottrae risorse alle casse del Campidoglio.

L’unica bozza di deliberazione risale ormai al 2012. L’obiettivo era quello di istituire un registro cittadino delle imprese che recuperano rifiuti metallici. Il primo firmatario è Giordano Tredicine, consigliere Pdl ed erede di una famiglia che sul commercio ambulante ha costruito un impero economico. Sui dati forniti dall’Associazione italiana recuperatori metalli (Airmet) nasce il primo tentativo di riportare nel perimetro della legalità la questione ferro. Partendo dalla convinzione che “le leggi in materia sono monche”, come ripete da tempo il presidente di Airmet, Nicola Grillo. Perché proprio queste norme non si applicano alle attività di raccolta effettuate dagli ambulanti. Che solo in città sono 1500, oltre 5mila in tutta la provincia, mentre le aziende sono poco più di 100.

Chi si lancia nel settore con il suo furgoncino e senza permessi rischia anche una multa per traffico illecito di rifiuti. Nasce da qui l’idea di un albo dei ferrovecchi. Un registro cui può accedere solo chi è in possesso di partita Iva e iscrizione alla Camera di commercio di Roma. Solo con questa sorta di documento di identità ci si può presentare dagli artigiani, meccanici e carrozzieri in primis, per recuperare gli scarti. Per tracciare i materiali e i lavoratori. E, soprattutto, per non perdere milioni di euro l’anno di tasse, che secondo le stime potrebbero sfiorare i 20 milioni di euro l’anno. A spingere per questa anagrafe pubblica degli ambulanti del ferro anche l’Opera nomadi, una delle associazioni che lavora con i cittadini rom e sinti che vivono nella Capitale. La regolarizzazione, spiegano, porterebbe due vantaggi: avviamento al lavoro senza formule assistenzialiste, oltre gli introiti per i bilanci di palazzo Senatorio.

Prima di una regolamentazione del settore, sono in molti tra gli operatori a chiedere una task force delle forze dell’ordine per contenere il fenomeno illegale. Quella messa in campo dai vigili ha portato a sequestri di terreni (17 ettari) e 89 denunce nei primi mesi di quest’anno, il doppio rispetto a tutte quelle del 2013. Dati sintomo di una situazione fuori controllo, che la politica continua a sottovalutare. Così la delibera resta ferma in uno dei tanti dipartimenti del Comune. Nessuna fretta. Anche dopo la commissione congiunta Politiche sociali e Ambiente, che si è tenuta lo scorso aprile. Perché se da un lato la politica continua a ripetere che è arrivato il momento del ‘fare’ e di operare in fretta, dall’altro i tempi si allungano a dismisura. E lo dimostra non solo la proposta ferma da 24 mesi, ma anche un verbale della commissione non ancora approvato dopo più di 60 giorni. Per fare affari – illegali – con il ferro c’è ancora tempo.

Santo Iannò

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