A teatro con L'Oreste Alfieri | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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TEATRO/L’Oreste di Alfieri al Teatro Romano di Ostia Antica

oreste-foto-1Un grande classico del nostro teatro, firmato da Vittorio Alfieri, va in scena il 6 agosto nel Teatro Romano di Ostia Antica, per la breve stagione estiva ideata e diretta da Pietro Longhi. Si tratta di “Oreste”, che Vittorio Alfieri scrisse partendo dalla conclusione di un’altra grande tragedia, “Agamennone” di Eschilo, che termina con l’uccisione del re Agamennone, appena tornato dalla lunga guerra di Troia, per mano della moglie e regina Clitennestra e del suo amante Egisto. All’origine del brutale omicidio il desiderio di vendicare la morte della figlia Ifigenia, che il re aveva sacrificato agli dei prima di partire per il lungo assedio di Troia.
Da quella orrenda notte di sangue sono trascorsi dieci anni e Oreste, figlio del re assassinato, decide di tonare nella sua Argo per vendicare il padre e uccidere il patrigno Egisto, usurpatore del trono. Non c’è nei suoi piani la volontà di uccidere anche la madre Clitennestra, che pure sarà sua vittima in una sorta di raptus omicida, ricalcando comunque la vicenda tramandata dagli antichi miti greci.
Ma nella tragedia di Alfieri – interpretata da Paola Cerimele, Raffaello Lombardi, Diego Florio e Giorgio Careccia – il regista Ilario Grieco mette in evidenza soprattutto la dimensione familiare della vicenda, il consumarsi di una dramma che è tutto interno alla vita della famiglia di Agamennone. Non ci sono dei ed eroi: ci sono una madre, Clitennestra (interpretata da Chiara Cavalieri), il suo uomo Egisto (un bravo Raffaello Lombardi), un figlio e una figlia, Oreste (Diego Florio, convincente e a suo agio nel difficile ruolo) ed Elettra (Paola Cerimele, tormentata al punto giusto), desiderosi di vendicare il padre e di scrollarsi di dosso l’odiosa tirannia del patrigno. Ma nel consumarsi del dramma anche la madre Clitennestra, con la quale sembra quasi possibile all’inizio la rinascita di un rapporto con i figli, sarà uccisa e il figlio Oreste si rifugerà nella pazzia.
Potente e scarna, la tragedia si consuma come un dramma familiare borghese di oltre duecento anni fa, con scenografie assai semplici. Esclusi il coro e tutti i personaggi secondari, l’azione è affidata ai soli interpreti principali, fino al consumarsi del dramma e all’esplodere della follia di Oreste, rappresentata quasi come anestetizzante fuga dalle nefandezze e dagli orrori vissuti.

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