Dehors, il racket del tavolino selvaggio affonda Roma | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Dehors, il racket del tavolino selvaggio affonda Roma

Difesa del decoro, lotta per la legalità o battaglia al racket? C’è tutto questo nel braccio di ferro tra il Comune di Roma e gli esercenti che si oppongono ai piani di massima occupabilità, varati dall’assemblea capitolina e che dimezzano lo spazio per i dehors. L’obiettivo dichiarato del Campidoglio è una stretta contro il tavolino selvaggio, che invade i marciapiedi e trasforma in un suk le zone più della Capitale. Ma secondo la procura di piazzale Clodio c’è molto di più. L’inchiesta parla di presunte infiltrazioni mafiose nel commercio del centro storico. Ci sarebbe un super test a svelare la contiguità tra gli ambienti criminali, radicati ormai all’interno del Gra, e alcuni ristoratori.

La gola profonda, fino a poco tempo fa, era dalla parte di bar e ristoranti. C’era anche lui con i suoi colleghi a occupare tutti gli spazi possibili con le attrezzature destinate al carissimo servizio riservato ai turisti. Adesso però quell’uomo si è reso conto del danno fatto ai colleghi: meglio raccontare tutto. E svelare i segreti che fanno di questa categoria una delle più forti e ‘barricadere’ in città. Perché se è sul serio colpa di qualche mela marcia, come racconta ai vigili il superteste, allora meglio epurarla per evitare che rovini tutto il cestino di frutta fresca. Si tratta solo di capire chi sta dalla parte sbagliata, farlo venire allo scoperto per portare nei binari della legalità tutto il settore. Proprio questo, con i suoi racconti messi tutti a verbale, l’ex esercente sta provando a fare.

La tattica è sempre la stessa. Creare società di comodo per iniziare a fare affari con i titolari degli esercizi storici. L’obiettivo è comprare quote di quei negozi, per poi scalzare di punto in bianco chi da una vita si dedica alla ristorazione. Il gioco è semplice: le fatture non pagate si accumulano, da quelle per i fornitori ai contratti, passando per i dipendenti lasciati per mesi senza stipendio; quando il vaso è colmo di debiti, si passa alla fase due del fallimento. Altro step: cambio di nome, nuova società e il giro ricomincia. Facendo concorrenza sleale a chi sul serio si guadagna da vivere con questo lavoro. Costretto a difendere gli spazi per i dehors, perché senza, dicono i lavoratori, rischiano di perdere fino al 60% degli incassi.

Cosa che non importa alle mafie della Capitale: a loro basta far girare i soldi per ripulirli. Fenomeno dimostrato non solo dalla quantità di prestanome legati a ’ndrangheta e camorra che diventano proprietari di bar e ristoranti, ma anche dalla quantità di locali falliti o chiusi dai magistrati negli ultimi anni. I sospetti sono causati anche da quella che gli inquirenti definiscono una stranezza: la spesa folle, spesso a prezzi fuori mercato, di esercizi in centro. Senza fare rumore, senza clamore per non attirare troppa attenzione, e riuscire così a giustificare ingenti guadagni che arrivano da attività illegali. I controlli della municipale servono anche a questo. E il senatore dem Ranucci ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano per vedere cosa c’è dietro le licenze.

Per togliere il velo di ipocrisia sul racket dei tavolini. Ma, per ora, le cronache parlano soprattutto delle proteste dei commercianti contro i Pmo. Prima delle borchie, in segno di stabilità alle nuove regole, ci sono le strisce che delimitano gli spazi. Linee verdi discontinue e non in tutte le zone sotto osservazione, ma che servono da promemoria. A pagare per primi sono stati quelli di Campo de’ Fiori, poi è toccato a Pantheon, Trastevere e piazza Navona. Proprio qui lo spazio si è trasformato in un enorme ring: a scontrarsi vigili e ristoratori. Con i caschi bianchi convocati per sgomberare i de hors fuori legge e i secondi che non avevano alcuna intenzione di cedere. È iniziato tutto con dei semplici insulti, poi i tafferugli per evitare che gli agenti della municipale portassero via le attrezzature.

Stesse scene a Tor Millina. Qui sono tutti inferociti: un ristoratore cade, una cameriera sviene e l’ambulanza che deve fare gli straordinari. Scontri che non finiscono con tavoli e sedie che volano, ma finiscono in procura e continuano a suon di denunce e controdenunce. Nel mirino il gruppo del vicecomandante Di Maggio e il suo gruppo di uomini della Sicurezza pubblica emergenza (Spe), cui vengono contestati i metodi di rimozione. Le accuse sono abuso d’ufficio e minacce. Il colonnello però non si scompone e contesta a tre manifestanti la resistenza a pubblico ufficiale.

Proprio nelle ore in cui il sindaco Marino prova a far tornare la calma, annunciando le fasce orarie (vedi articolo di fianco), parte la rivolta dei tavolini fuorilegge. I titolari dei negozi decidono per una serrata collettiva: è la loro forma di protesta alle nuove regole. Ma non finisce qui. Armati di fischietti e cartelli, iniziano a urlare la loro rabbia contro i turisti: “Andate via”, urla una dipendente a ignare persone che non capiscono bene cosa stia succedendo intorno a loro. Provano a difendere il loro lavoro, cercando di spiegare come con la metà dei posti a sedere sarà difficile fare gli stessi incassi. Con il rischio di licenziamenti o, peggio, il fallimento del locale. Le associazioni di categoria stimano mancati guadagni di circa due terzi grazie ai Piani di massima occupabilità.

Un braccio di ferro tra chi non è disposto a cedere guadagni in tempi di crisi e chi punta al decoro e alla bellezza della città. Peccato che così Marino perda di vista il discorso della legalità, cui spesso fa riferimento. Le attività illegali, infatti, stando al racconto della gola profonda, non sono quelle dei ristoratori e dei loro dehors ma delle mafie. Che controllano troppi locali e hanno messo le mani su buona parte dei negozi centro. Inchieste, denunce, testimonianze e studi non bastano al chirurgo dem. Che delega tutto alle forze dell’ordine. A volte, però, serve il coraggio anche di chi è coinvolto in prima persona.

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