Shoah: addio a Limentani, uno degli ultimi sopravvissuti all'orrore dell'Olocausto | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Shoah: addio a Limentani, uno degli ultimi sopravvissuti all’orrore dell’Olocausto

Tutti lo chiamavano «il veneziano», i più vicini «zì Mario». Per la storia resterà per sempre Mario Limentani, uno degli ultimi testimoni dell’inferno della Shoah, sopravvissuto ai campi di Dachau e Mauthausen. Si è spento questa mattina, a 91 anni, portando con sè il ricordo di quegli anni bui che tante volte ha raccontato agli studenti durante i viaggi della Memoria. Cordoglio è stato espresso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che si è detto «addolorato» per la scomparsa di «uno dei milioni di ebrei che subirono nel corpo e nello spirito le persecuzioni naziste e le deportazioni e uno di coloro che sopravvissero senza poter dimenticare quegli orrori». Il mondo politico e sociale, dal sindaco di Roma Marino, al presidente della Regione Lazio Zingaretti, si stringe attorno alla famiglia sottolineando la «figura di grande rilievo» di un uomo da sempre impegnato a passare il testimone ai più giovani, affinchè la drammatica storia «non si ripeta mai più». Nato a Venezia il 18 luglio 1923, Limentani si trasferì giovanissimo a Roma, proprio in concomitanza con l’emanazione delle leggi razziali. Scampato una prima volta al rastrellamento dei nazisti nel ghetto ebraico, fu poi arrestato dai fascisti nei pressi della stazione Termini e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. «Il 4 gennaio – raccontava sempre ai ragazzi durante i convegni e i viaggi in Austria e Germania – alle quattro e mezza di mattina ci diedero la sveglia, ci incatenarono cinque per cinque e ci portarono alla Stazione Tiburtina». Da quei binari partì il drammatico viaggio prima verso Dachau e poi verso Mauthausen. I giorni trascorsi nel lager sono impressi nero su bianco nel libro di Grazia Di Veroli «La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen». Il riferimento è a quei 186 gradini che ogni giorno i detenuti erano costretti a salire e scendere più volte con enormi massi di granito sulle spalle. Molti, privi di forze, precipitavano nel burrone che costeggiava la cava. «Lì morivano tutti i giorni duecento, duecentocinquanta persone – diceva – perchè bastava perdere l’equilibrio e si cadeva». L’inferno di Limentani continuò prima nel sottocampo di Melk e poi in quello di Ebensee, sempre costantemente con la vita appesa ad un filo. Il 5 maggio del 1944 il campo venne liberato dagli americani ed il 27 giugno finalmente il numero 42.230 – così era stato «catalogato» dai nazisti – fece ritorno a casa. «Sono passati cinquantasette anni e mi pare di essere rimasto sempre lì – raccontava in un’intervista alcuni anni fa – molte notti io mi sveglio e mi pare di stare lì». Oggi «il veneziano» se n’è andato, ma il suo impegno resterà per sempre vivo negli occhi e nella mente dei tanti giovani che hanno potuto conoscerlo e condividere con lui l’orrore della Shoah.

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