Opera, choc al Teatro: tutti licenziati. Pugno duro del cda: "Scelta per rinascere". I lavoratori: "L'articolo 18 c'è ancora" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Opera, choc al Teatro: tutti licenziati. Pugno duro del cda: “Scelta per rinascere”. I lavoratori: “L’articolo 18 c’è ancora”

L'addio di Muti e il crollo tra abbonamenti e sponsor hanno accelerato la scelta di un cambio di passo

Orchestra e coro licenziati ed esternalizzati. Dopo mesi di agonia, di dissidi interni sul piano di rientro, dopo gli scioperi e la traumatica uscita di scena del maestro Riccardo Muti, è questa la decisione presa dal Cda dell’Opera di Roma per far «rinascere» il teatro. «Una scelta molto dura e sofferta», per dirla con le parole del sovrintendente Carlo Fuortes che però tiene a precisare: l’alternativa era la chiusura. Il sindaco di Roma Ignazio Marino spiega che si tratta di «un percorso mai eseguito prima nel nostro Paese». E il ministro Dario Franceschini si schiera dalla stessa parte: «È un passaggio doloroso ma necessario per salvare l’Opera di Roma e ripartire». La riunione del Cda arriva a pochi giorni dal vertice tra i soci fondatori dell’Opera – Mibact, Regione Lazio e Comune di Roma – che aveva dato mandato al consiglio di amministrazione di «trovare le soluzioni più adeguate per una rinascita del teatro e a risolvere, alla radice, i problemi di fondo». «Non dimentichiamo che la situazione era diventata talmente insostenibile da costringere pochi giorni fa il Maestro Muti ad andarsene platealmente», sottolinea Franceschini. Ma ad annunciare la linea dura, in una conferenza stampa in Campidoglio, al termine della riunione del cda, è il sindaco Marino: «Alla vigilia di Natale del 2013 è stato deliberato l’inizio del risanamento da quel disavanzo disastroso che avevamo trovato al momento del mio insediamento – ricorda -. Poi purtroppo una serie di situazioni hanno determinato una perdita di biglietteria, una fuga degli sponsor che vogliamo invece attrarre. Il doloroso e recente messaggio del maestro Muti ha determinato una frenata degli abbonamenti e una fuga degli sponsor. Ci troviamo con un risanamento avviato ma con differenza di entrate di 4,2 milioni di euro per l’anno prossimo. In una decisione così drammatica questo procedimento coinvolgerà 182 unità di personale su 460, non riguarda gli altri 278». Da questa operazione, stando alle stime di Fuortes, si otterranno 3,4 milioni di risparmi. «Se si organizza tutto nel migliore dei modi dal 1 gennaio il teatro dell’Opera potrebbe aver nuova orchestra e coro – annuncia – che potrebbero essere anche costituiti dai vecchi musicisti, però con una forma contrattuale del tutto diversa: non sarebbero più dipendenti ma sarebbero loro a formare un’orchestra o un coro indipendente». Il modello guarda ad esperienze europee «come la London Symphony Orchestra o i Berliner Philharmoniker». Ma le reazioni all’annuncio non tardano ad arrivare: Orchestrali, coristi e sindacati sono sul piede di guerra. E c’è chi invoca il rispetto dell’art 18. «Siamo pronti a intraprendere tutte le iniziative, possibilmente unitarie con gli altri sindacati, per respingere questa decisione scellerata», afferma il segretario generale della Slc-Cgil di Roma e Lazio, Alberto Manzini. «È un licenziamento ingiustificato e discriminatorio, c’è un progetto di smantellamento del Teatro dell’Opera – sostiene il primo trombone Marco Piazzai (Fials Cisal) -. E forse Muti l’aveva capito e per questo se n’è andato. Ma siamo pronti a impugnare la decisione». Resta il dubbio se questa decisione potrà o meno essere in qualche modo un apripista. «Non so cosa faranno gli altri sovrintendenti – dice Fuortes -. Noi eravamo in una situazione molto particolare», ma «sono assolutamente convinto che sia un modello sviluppo che darà grandi risultati». A suo parere «le orchestre dei teatri lirici debbano essere considerate l’eccellenza della musica in Italia, formate da artisti, non da impiegati. Qui non dobbiamo pensare all’articolo 18, questa è tutt’altra cosa». La trionfale tournee dell’Opera di Roma in Giappone, gli elogi pubblici di Riccardo Muti ai suoi artisti. Pochi mesi e il maestro si dimette, dieci giorni dopo arriva il licenziamento collettivo di orchestra e coro annunciato dal Cda del Teatro. «Un macigno insopportabile» lo definisce Marco Piazzai, 48 anni, da 23 tra i musicisti del ‘Costanzì, primo trombone e segretario del sindacato Fials-Cisal. «Ho dato arte e amore all’Opera di Roma – dice – e ora vogliono licenziarci in tronco. Non è mai successo niente del genere in Italia. Ma siamo pronti a impugnare le lettere di licenziamento quando arriveranno. Vogliono esternalizzare il lavoro? Nessuno si fa licenziare per essere riassunto a tempo determinato. L’articolo 18 è ancora in vigore». Una serata che vede orchestrali e coro pronti a esibirsi come sempre, oggi nella ‘Cenerentolà, in cartellone fino a domenica. Ma una serata diversa dopo l’annuncio traumatico del Consiglio di amministrazione e del sovrintendente Carlo Fuortes, appoggiato dal ministro della Cultura Dario Franceschini e dal sindaco Ignazio Marino. «Un dramma per tante famiglie, siamo scioccati», dice davanti ai cancelli del teatro Francesco Melis, 56 anni, corista entrato all’Opera nel 1984 vincendo un concorso internazionale. Il quale ricorda come la Uil – a cui è iscritto – e la Cisl avessero appoggiato in un referendum il nuovo piano industriale. Tutto precipitato dopo l’addio di Muti. «È un licenziamento ingiustificato e discriminatorio, c’è un progetto di smantellamento del Teatro dell’Opera – dice ancora Piazzai -. E forse Muti l’aveva capito e per questo se n’è andato. Non so che motivazione economica possano addurre. Coro e orchestra sono il core business del Teatro». Circa 180 artisti-lavoratori a tempo indeterminato, un costo troppo alto secondo la dirigenza dell’Opera. E riottosi al cambiamento. «Stiamo parlando di 180 persone che guadagnano 1.800-1.900 euro al mese nel coro e in media 2.000-2.100 euro nell’orchestra – dice il primo trombone e sindacalista Fials-Cisal -. Io ne guadagno 2.400 dopo 23 anni e al massimo della carriera. Il primo violino è a un livello più alto e arriva a 2.500. Perchè non toccano i tecnici e amministrativi? Che se ne fanno di 280 di loro in un teatro?». Il segretario generale della Slc-Cgil Roma e Lazio Alberto Manzini auspica «iniziative unitarie» dei sindacati contro «una decisione scellerata» e promette di coinvolgere nella vicenda la Cgil nazionale e «il mondo della cultura, che deve mobilitarsi».

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login