Opera la rivolta dei musicisti secondo Fellini. E per Zeffirelli "Muti ha colpe enormi" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Opera la rivolta dei musicisti secondo Fellini. E per Zeffirelli “Muti ha colpe enormi”

La rivolta di musicisti più famosa nella storia del cinema – a cui va la mente guardando alle proteste dei lavoratori dell’Opera di Roma – l’ha raccontata Federico Fellini in Prova d’orchestra, in quello che è considerato il suo film più politico, presentato nel 1979 fuori concorso al Festival di Cannes. Girato nell’Italia degli anni di piombo, il regista ambienta la ‘rivoluzione fallità dei protagonisti in un oratorio duecentesco, dove arrivano i musicisti per la loro prova. Ci sono anche i rappresentanti sindacali e la televisione, per intervistare uno a uno gli orchestrali sul rapporto che hanno con il loro strumento: tutti si sentono unici e necessari. L’arrivo del direttore tedesco (Balduin Baas) dà il via alle prove. Manca però l’armonia, e sale la tensione: il Maestro si dimostra sempre più sprezzante e autoritario. Una pausa dà il via alla rivolta dei musicisti, che si convincono di non aver bisogno del loro direttore e si abbandonano all’anarchia, tra slogan e lotte intestine. Per riportare l’ordine, tra le macerie, è necessario il ritorno del Maestro: la calma apparente però è via via turbata dai suoi toni dittatoriali sempre più minacciosi. «Il Fellini sognatore, visionario, narcisista inguaribile, instancabile raccontatore di sè, avverso a ogni forma di impegno, è uscito dal proprio »ego« per dare uno sguardo fuori, alla realtà che ci circonda – scrisse all’uscita del film il critico Costanzo Costantini su Il Messaggero – mettendoci sotto gli occhi una immagine inquietante dell’Italia odierna. Su questo punto le interpretazioni sono unanimi: Prova d’orchestra è uno specchio del caos nel quale ci dibattiamo affannosamente, senza sapere come uscirne».

– «Un dolore enorme, che mi strazia, mi spezza il cuore, un segno dei tempi che attraversa il nostro paese in generale. Attenzione, se perdiamo questi baluardi della cultura siamo davvero nei guai. Non sottovalutiamo quello che è successo, non ci sono scuse. L’opera di Roma è un pezzo della mia vita. Dietro ogni lavoratore, c’è una famiglia. Quello che è successo è una sconfitta per tutti, ma è la colpa a mio avviso è da attribuirsi a un personaggio deprecabile, Riccardo Muti». Franco Zeffirelli, regista, sceneggiatore, un rapporto ultraventennale con l’Opera di Roma, dove sono andate in scena numerose rappresentazioni da lui dirette dall’Aida al Falstaff, ai Pagliacci parla con un filo di voce e si scusa più volte per questo: «mi perdoni ho mal di gola e non posso stare troppo al telefono», ma quello che dice è come una doccia gelata. «Sono davvero sconvolto – fa sapere -, un epilogo traumatico per una delle più importanti istituzioni culturali, sulla quale si sono dette tante cose in questi giorni. Ma chi ama davvero come me l’opera, la cultura e quel Teatro con cui tra l’altro ho avuto un rapporto viscerale, può capire. Lui, il ‘grande direttorè, che io non ho mai amato particolarmente, sapeva. Guarda cosa ha finito con il combinare». Lui chi Maestro? «Riccardo Muti. Sono certo che sia in parte responsabile di quello che è successo, non ci si dimette così. Anni fa ebbi con lui uno scontro ferocissimo a Milano, ma è inutile rivangare il passato. Diciamo, ripeto, che non è tra i mie direttori preferiti». «La cultura – conclude Zeffirelli – è una competenza del cittadino. La nostra forza è sempre stata l’Opera, a Roma come alla scala di Milano ovviamente. Siamo conosciuti in tutto il mondo per questo, ma forse lo stiamo dimenticando e parliamo troppo spesso di quello che fanno all’estero».

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