Quando Fuortes duellava a Bari. E a Berlino e Vienna tutti dipendenti fissi | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Quando Fuortes duellava a Bari. E a Berlino e Vienna tutti dipendenti fissi

– A Bari il braccio di ferro tra Carlo Fuortes e i dipendenti del Petruzzelli, artisti e tecnici, cominciò quasi contestualmente alla nomina a commissario straordinario, avvenuta nel marzo del 2012. Qualche giorno dopo, il teatro era stato occupato dai dipendenti e l’orchestra suonava per le strade del centro di Bari per protestare contro la decisione del commissario di non continuare con la prassi della chiamata diretta seguita sino ad allora e di reclutare i musicisti con bandi pubblici. Il mandato di Fuortes, nominato dall’allora ministro Ornaghi, era quello di risanare senza titubanze il più giovane ente lirico italiano che, che sia pure attivo da pochi anni, era già avviato sulla strada della voragine in bilancio, avendo accumulato un disavanzo di oltre due milioni di euro. Proseguendo a muso duro sulla strada del risanamento, che gli è costata anche diversi ricorsi per comportamento antisindacale – tutti rigettati dal giudice del lavoro – da parte della Cgil (che all’epoca era sindacato praticamente unico nel teatro), Fuortes ha gestito col pugno di ferro per quasi due anni il Petruzzelli, rilanciandolo nel panorama artistico nazionale. Il momento di crisi più forte si è verificato pochi mesi dopo l’inizio del mandato per le aspettative frustrate dei maestri d’orchestra e dei coristi di vedersi rinnovati in blocco i contratti a tempo determinato a chiamata diretta. Malgrado la dura opposizione del sindacato, che chiedeva la stabilizzazione degli artisti, Fuortes andò avanti sulla strada dei bandi pubblici organizzando selezioni con sistemi che garantissero al massimo la trasparenza delle audizioni. La protesta si inasprì tanto che nel settembre 2012 i musicisti non entrarono in scena per la prima del don Giovanni di Mozart che fu rappresentato con il solo accompagnamento del pianoforte. Quando i nuovi orchestrali, assunti con contratti triennali, sono entrati in servizio, il clima si è rasserenato. Partito dal un bilancio 2011 chiuso con due milioni di euro di disavanzo, Fuortes ha portato il bilancio al pareggio nel 2012 (con un avanzo di 64.000 euro) grazie anche al contributo straordinario ottenuto dagli enti fondatori. Nuovi motivi di tensione sono arrivati però dalla politica e in particolare dai dissapori sulla gestione del teatro da parte di Comune e Provincia: i due enti nel 2013 non hanno versato il loro contributo alla Fondazione e questo ha portato ad un nuovo disavanzo. Lo scorso gennaio Fuortes è andato via, quando ha assunto l’incarico di sovrintendente all’Opera di Roma. Al suo posto è arrivato Massimo Biscardi che ha dovuto avviare una nuova stagione di tagli. Troppi per il giovane direttore musicale che era stato nominato da Fuortes, Daniele Rustioni, che qualche giorno fa, polemizzando con la ‘strategia del risparmiò del sovrintendente, ha annunciato che lascerà l’incarico allo scadere del contratto, nel gennaio 2015.

Nei due grandi teatri lirici di Vienna e Berlino, entrambi con una grande tradizione operistica, l’assetto aziendale è quello tradizionale di dipendenti fissi assunti con contratto. Sensibile in entrambi le capitali, il contributo in sussidi pubblici stanziato dallo Stato. Alla Staatsoper a Vienna, l’ente lirico in assoluto con il maggior numero di recite l’anno (circa 300), una corazzata con programmazione di stagione (non di stagione come in Italia), ovvero aperta praticamente tutte le sere, ci sono 950 dipendenti. Tutti con contratto. Il numero comprende professori dell’orchestra, che poi sono i Wiener Philharmoniker, che quando suonano all’Opera prendono il nome di Orchestra della Staatsoper, il coro, il balletto, tecnici, impiegati, amministrativi, macchinisti ecc. In cartellone ci sono oltre 50 produzioni l’anno e centinaia di recite più le tournee. Il bilancio complessivo è di 105 milioni di euro di cui oltre la metà sostenuto con sussidi pubblici. Circa 34 milioni vengono dalla vendita dei biglietti e il resto (in tutto 47-48 milioni di euro) da altri ricavi, come il Ballo dell’Opera, le tournee, gli sponsor. Il bilancio è in attivo. Il teatro è sempre pieno e la media di presenze è altissima: quasi il 98%. La sede originaria della Staatsoper di Berlino è nella Unter den Linden, a est, ma il teatro è ora da diversi anni chiuso per restauri e tutta la compagnia si è trasferita allo Schiller Theater, più piccolo, a ovest. La riapertura dello storico edificio è incerta: la data è stata rinviata svariate volte e ora pare che sia l’anno prossimo ma nessuno ci scommette, inclusi il direttore musicale, Daniel Barenboim, e il sovrintendente, Juergen Flimm. Il teatro conta 530 dipendenti di cui 130 musicisti dell’orchestra e 84 cantanti del coro. L’ensemble del teatro è fisso ma per determinate produzioni o ruoli vengono ingaggiati anche cantanti esterni. In genere nei grandi teatri in Germania, dove la mano pubblica, a livello di governo federale e di Laender, è molto presente, i dipendenti sono tutti fissi. Il bilancio complessivo della Staatsoper di Berlino è di circa 58 milioni di euro di cui 41,78 messi dal Land di Berlino e 1,78 dal governo centrale. Per i restauri il bilancio, sostenuto dalla mano pubblica, è lievitato in continuazione e adesso siamo attorno ai 300 milioni. Secondo il sovrintendente della Staatsoper di Vienna, Dominique Meyer, in genere i grandi teatri lirici in Europa, l’opera di Londra, Parigi, Bruxelles, ecc. hanno tutti compagini fisse con dipendenti. Quelli più piccoli, che non prendono soldi dallo Stato, lavorano invece con ingaggi di volta in volta. A suo parere, la decisione dell’Opera di Roma di licenziare orchestra e coro è una conseguenza naturale della situazione creatasi dopo le dimissioni di Muti, ci voleva «una svolta drammatica», non si poteva andare avanti dopo così dopo che un grande direttore come Muti se n’è andato.

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