Addio ad Aurelia Sordi, morta nella villa di Albertone. "Dopo l'allontanamento di Arturo non mangiava" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Addio ad Aurelia Sordi, morta nella villa di Albertone. Franceschini: “La casa sarà un museo”

«Aspettiamo le volontà testamentarie e parleremo con la Fondazione ma la casa di Alberto Sordi dovrebbe diventare uno straordinario museo». Queste le parole del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, sul suo profilo Twitter. Una vita vissuta nell’ombra del celebre fratello, l’«Albertone Nazionale», una catena di affetti costruita tra le mura della villa-museo che si affaccia sulle Terme di Caracalla e solidificatasi dopo la scomparsa del grande attore romano. Aurelia Sordi è morta a 97 anni, ma dal suo entourage emerge che l’addio a questo mondo non è stato sereno. «L’hanno fatta morire togliendole Arturo». Questo il pesante atto d’accusa partito da Paola Comin, ufficio stampa di Alberto Sordi dal 1992 al 2003. Arturo è il nome di Artadi, già autista di Alberto Sordi e poi factotum dell’anziana sorella. Artadi, peruviano arrivato in casa Sordi quando aveva 18 anni è, soprattutto il principale imputato dell’inchiesta su un presunto raggiro ordito ai danni di Aurelia. La procura di Roma ha recentemente chiesto il suo rinvio a giudizio e quello di altre nove persone per circonvenzione d’incapace e ricettazione. Un’inchiesta, quella del pm Eugenio Albamonte, partita dopo la segnalazione che Artadi operava su tutti i conti correnti di Aurelia, e non più sull’unico del quale aveva la co-delega insieme con un amico della famiglia Sordi. Gli accertamenti hanno portato alla scoperta di donazioni sospette al personale di Aurelia per circa 2,5 milioni di euro, il 10-15 percento del patrimonio che la donna aveva ereditato dal fratello. Eredità ora destinata alla Fondazione Museo Alberto Sordi, voluta da Aurelia per trasformare la Villa che fu del fratello in museo. Dall’1 ottobre scorso Artadi aveva il divieto di avvicinamento ad Aurelia. Motivi di «opportunità» e di «pericolosità» alla base del provvedimento emesso dal tribunale del riesame dopo un iniziale rigetto da parte del gip. «Venerdì scorso – ha dichiarato Comin – l’avvocato della signorina Aurelia aveva fatto un’istanza al giudice che aveva disposto l’allontanamento di Arturo perchè venisse riammesso: senza di lui si sarebbe lasciata morire. E infatti dal 1 ottobre, giorno in cui è stato disposto l’inizio dell’allontanamento, Aurelia non mangiava più». «È come se non avesse più motivazioni per vivere – ha aggiunto – fino all’ultimo ha chiesto di Arturo. È stata una cattiveria e spero che se c’è un aldilà Alberto punisca chi ha fatto del male alla sorella». Lo stesso Artadi rincara la dose rivelando un particolare avvenuto in Cassazione dopo il ricorso contro la decisione del riesame: «Lo stesso difensore della Signorina Aurelia – afferma – depositò una memoria dove, in pratica, spiegava che non era possibile che io commettessi altri reati e, soprattutto, segnalava che il mio concreto allontanamento avrebbe potuto determinare un tracollo nella salute della Signorina che, pur godendo di ottima salute, non poteva essere privata dei suoi affetti e delle sue abitudini». «Sono distrutto ed amareggiato» prosegue l’ex factotum: «Aurelia ed Alberto sono stati per me come dei nonni, quasi dei genitori. Mi hanno fatto venire dal Perù che avevo appena diciotto anni e mi hanno insegnato tutto. A loro, e soprattutto alla signorina Aurelia, devo veramente tutto quello che so e che sono. Tra di noi c’era un bellissimo rapporto che nulla e nessuno riuscirà a distruggere». Quanto alla vicenda giudiziaria Artadi si definisce «ingiustamente sospettato» del raggiro ai danni di Aurelia e sottolinea che negli ultimi due anni la sua vita «è stata un inferno e purtroppo non mi aiuta molto sapere che la mia coscienza è a posto». «Così non posso certo dire per quella di chi, accanendosi ingiustamente contro di me, è stato la causa del crollo psicologico e fisico della Signorina». Contro Artadi una coppia di anziani, parenti di Aurelia che oggi uscendo da villa Sordi hanno dichiarato: «la cosa vergognosa è che in casa c’è ancora l’autista Arturo, autore del raggiro, che doveva andar via». Indivisibili. Alberto e Aurelia, una vita passata insieme. Fino all’ultimo respiro. Sotto lo stesso tetto. La stessa casa. Quella villa, in via Druso, a due passi dalle Terme di Caracalla dove tutti e due, complice il destino, si sono spenti. Una megavilla che custodisce l’intera vita dell’attore – foto, film, scritti e addirittura un teatro con platea – e che lei voleva fosse trasformata in una ‘casa-museò: per questo aveva costituito un’apposita fondazione a cui è destinata la sua eredità. Un amore fraterno, quello di Aurelia e Alberto, lontano dalle luci dello star system e fatto di risate, tenerezza e tanta reciproca premura. Lui attore, classe 1920, l’Albertone nazionale. Lei, classe 1917, sorella maggiore premurosa e così amata dal fratello tanto da farlo ‘scapparè da qualsiasi impegno lavorativo, mostra del cinema o ritiro di un premio, per essere presente al pranzo della domenica: «Ovunque fosse, dal Sud America a Los Angeles – racconta Paola Comin, ufficio stampa di Alberto Sordi dal 1992 al 2003 -, la domenica all’ora di pranzo Alberto voleva stare a casa con la sorella. Era un rito. E faceva di tutto per rispettarlo. Una volta prendemmo un aereo da Bilbao alle 6 del mattino per poter essere in orario a Roma». Un affetto vero, particolare, unico. Fatto di tenerezza e tante premure. Come ad esempio quelle che aveva Aurelia per l’attore e regista romano: dalla preparazione delle valigie prima di una partenza ai maritozzi con la panna fino a quelle triglie spinate e poi ricomposte nel piatto (Alberto le adorava ma odiava le spine, racconta chi li conosceva). E l’Albertone nazionale ricambiava con pensieri e regali comprati in giro per il mondo («Questo è per Aurelia» diceva), accompagnandola nel centro di Roma quando voleva comprare un vestito e chiamandola ogni volta che scendeva dall’aereo: «Una volta andammo a Parigi – ricorda Comin – Quando arrivammo, dopo un viaggio turbolento, c’era la neve. E Alberto per non far preoccupare Aurelia le disse che era andato tutto bene e che c’era il sole. Per lei provava un affetto vero». Il 15 giugno 2000, giorno del suo ottantesimo compleanno, Alberto la volle al suo fianco quando salì in Campidoglio per diventare sindaco di Roma per un giorno, su invito dell’allora primo cittadino della Capitale Francesco Rutelli. Una vita quindi passata insieme. Fino alla morte. «Ma è possibile morire per una bronchite?» si chiedeva Aurelia nel 2003, quando l’attore scomparve a causa di una grave malattia. Alberto le aveva nascosto il suo male per non farla preoccupare. Le sue ultime parole furono per lei, come raccontò Aurelia stessa: «È morto stringendomi la mano e dicendomi grazie».

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