Cucchi, ipotesi inchiesta bis: “Indagare sui punti oscuri”. Tutte le lacune sulla morte di Stefano
Jovanotti su Facebook: Quando lo Stato "prende in consegna un cittadino disarmato e lo arresta, quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro"
– Indagare anche dove non si è indagato. Attivare accertamenti anche su chi e cosa non è stato ancora oggetto di indagine. Il Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone è determinato ad vederci chiaro sulla morte del geometra romano Stefano Cucchi. Ma non prima di avere esaminato tutte le carte processuali, comprese le motivazioni della sentenza che venerdì scorso ha assolto tutti e 12 gli imputati tra agenti della penitenziaria, medici e infermieri per insufficienza di prove. Un verdetto che ha scuscitato u fiume di polemiche e che non è piaciuto neppure ad Adriano Celentano, il quale ha definito i giudici «ignavi». E Jovanotti su Facebook: Quando lo Stato «prende in consegna un cittadino disarmato, lo arresta, in base al diritto democratico quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro anche nel caso più estremo, anche se fosse il peggiore dei fuorilegge». L’eventuale riapertura dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta nel 2009 nel reparto protetto dell’ospedale Pertini una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga, passerà dunque attraverso una rilettura di tutte le carte dell’inchiesta. E punterà anche a verifiche su chi non è mai stato oggetto di indagine. Questo l’impegno preso oggi dal procuratore Pignatone dopo avere incontrato nel suo ufficio i familiari del ragioniere. L’esame di tutto il carteggio, comprensivo delle motivazioni della sentenza della corte di assise di appello che ha assolto tutti, servirà ad identificare eventuali posizioni finora non esaminate e che possano assumere una veste anche alla luce delle risultanze processuali. Saranno quindi rivisitate tutte le tappe della vicenda, a cominciare dal fermo di Cucchi eseguito dai carabinieri e dal presunto pestaggio che avrebbe subito nelle celle di sicurezza del tribunale mentre era in attesa dell’udienza di convalida. Un punto, questo, controverso perchè attribuire il pestaggio a prima o dopo l’udienza potrebbe significare spostare la responsabilità tra carabinieri, che fermarono Cucchi e lo trasferirono in Tribunale, e agenti penitenziari, che lo presero in consegna dopo l’udienza. Ora sarà necessario capire cosa non ha convinto i giudici d’appello e perchè, cosa ha scricchiolato nel castello accusatoria e magari partire da lì. «I pm Barba e Loi hanno fatto un buona lavoro», ha però oggi sottolineato Pignatone. L’impegno assunto da Pignatone ha soddisfatto Ilaria Cucchi, meno le parole di apprezzamento per i due magistrati da lei sempre criticati. Mostrando una gigantografia di Stefano morto e con i segni del pestaggio, Ilaria aveva detto: «Questa è l’insufficienza di prove; lo Stato non ha saputo garantire i diritti di mio fratello da vivo, ed ora non è in grado di dire chi l’ha ridotto così». La foto mostrata ai giornalisti faceva parte di un gruppo di istantanee consegnate al procuratore. «Questo ragazzo non somiglia nemmeno lontanamente – aveva aggiunto Ilaria che dopo la gigantografia del fratello morto ne aveva srotolata un’altra in cui appare sorridente e in buona forma – a questo uscito vivo di casa sei giorni prima e sulle sue gambe. Stefano è stato pestato e ci aspettiamo che il procuratore assicuri i responsabili alla giustizia». Poi, commentando la notizia di una querela fatta dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe nei suoi confronti, aveva dichiarato: «non sono io che getto fango sull’onore della categoria».
Carabinieri, agenti penitenziari, un giudice, medici e infermieri. Stazioni dell’Arma, ospedali, un carcere. Questo lo Stato al quale per sette giorni fu affidato Stefano Cucchi, detenuto e malato. Sette giorni nei quali il geometra romano ha visto le sue condizioni fisiche deteriorarsi, a seguito di lesioni riportate in un pestaggio, fino a morire in ospedale. Giorni nei quali furono commessi anche errori e sviste – come ha più volte ripetuto la sorella Ilaria – che segnarono anche la fase istruttoria di un inchiesta lunga e difficile. Il calvario di Cucchi comincia il 15 ottobre del 2009: viene fermato dai carabinieri mentre viene visto cedere droga in cambio di denaro. Trasferito nella stazione dell’Arma di Appio Claudio, viene perquisito e trovato in possesso di droga. Viene quindi portato, per mancanza di posti, nella caserma di Tor Sapienza. Nella notte si sente male, dà in escandescenze e viene chiamata un’ambulanza. Nel verbale d’arresto il primo errore: i carabinieri scrivono che era nato in Albania il 24 ottobre del 1975 e che viveva in Italia senza fissa dimora. Dopo avere trascorso la notte in caserma Cucchi il giorno dopo, 16 ottobre, alle 9 del mattino viene trasferito in tribunale per l’udienza di convalida. Mentre si trova nelle celle di sicurezza in attesa dell’udienza, secondo quanto accertato nel processo di primo grado, viene picchiato. Alcuni testimoni, tutti detenuti che erano in attesa nelle celle sotterranee di piazzale Clodio, confermano il pestaggio. E qui si inserisce uno dei punti oscuri della ricostruzione: a chi era affidato Cucchi quando ci fu il pestaggio? Ai carabinieri che lo fermarono e accompagnarono a Piazzale Clodio o alla Polizia penitenziaria? «Di Cucchi ricordo solo di averlo visto dopo l’udienza di convalida, da quel momento è entrato nella mia competenza, prima provvedevano i carabinieri», ha ribadito nelle sue dichiarazioni spontanee uno degli agenti Nicola Minichini. Ma alcuni testimoni, tra i quali un detenuto gambiano, indicarono come gli autori del pestaggio gli agenti della penitenziaria. Fatto sta che Stefano arriva davanti al giudice con difficoltà motorie ed evidenti ematomi intorno agli occhi. Pochi minuti prima era riuscito a scambiare qualche parola con il padre assicurandogli che non era stato picchiato. In giudizio viene difeso da un avvocato d’ufficio. Il giudice fissa una nuova udienza e conferma il carcere per Stefano anche perchè secondo il verbale era senza fissa dimora. Cucchi viene quindi trasferito alle 15.45 nel carcere di Regina Coeli: in base ai documenti dell’inchiesta in carcere non gli vengono riscontrati traumi fisici, altra svista. Ma le condizioni del giovane peggiorano e per questo alle 20 viene trasportato in ambulanza all’ospedale Fatebenefratelli: qui i medici accertano invece una frattura vertebrale. «Gli proposi di rimanere da noi con una prognosi di 25 giorni. Lui rifiutò», disse uno dei medici del Fatebenefratelli in aula. Il 17 ottobre alle 12.15 Cucchi torna in ospedale e appare ai medici «molto sofferente». Viene quindi disposto il trasferimento nel reparto protetto dell’ospedale Pertini che avviene alle 19. Ai genitori che vogliono incontrarlo viene imposto il divieto: l’ok del giudice arriverà solo il giorno della sua morte. Nei giorni del ricovero Cucchi chiede di parlare con il proprio avvocato o con un assistente del centro di tossicodipendenza. Una richiesta mai evasa e che, anche se verbalizzata sul diario clinico, non fu mai inoltrata. Le condizioni di salute continuano a peggiorare: Stefano muore il 22 ottobre. «Morì di fame e si sete e per la negligenza dei medici», sancì una perizia. Al momento del decesso pesava appena 37 chilogrammi, ne pesava 43 al suo arrivo a Regina Coeli.
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