Restaurata la Carta del lavoro: torna a splendere la vetrina di Sironi
Il meglio di sè lo dà nelle giornate di sole, ma anche nel grigiore di un pomeriggio autunnale la ‘Carta del lavorò, splendida vetrata di Mario Sironi al ministero dello Sviluppo economico, colpisce per l’imponenza delle figure e la vivacità delle cromie, rese finalmente godibili dal restauro appena terminato. L’intervento di recupero è stato presentato oggi, proprio nel giorno in cui dalla commissione Lavoro del Senato è arrivato l’ok per il Jobs Act. Curiosa coincidenza – notata anche dal ministro Federica Guidi – perchè la vetrata celebra un’altra riforma del lavoro, quella voluta nel 1927 dal ministro Giuseppe Bottai. A vent’anni dall’ultimo intervento di recupero, il restauro, interamente finanziato da Acea e condotto da Studio Forme, ha riportato la vetrata allo splendore originale, grazie alla spolveratura a pennello, alla rimozione col bisturi dei sedimenti e alle infiltrazioni di resina per riparare le fratture. Sono tornate così pienamente leggibili le massicce figure di fabbri, carpentieri, contadini, le arcate ferroviarie e le ciminiere d’industria. «Dentro ci trovo la fatica, ma anche la dignità e la responsabilità del lavoro. Concetti rappresentati secondo la retorica di quel tempo, ma validi anche per noi», ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Al tema del lavoro Sironi ha dedicato gran parte della sua produzione, ha ricordato la nipote Romana, «dipingendo forse più per sè che per gli altri». I cartoni della vetrata, realizzata dalla bottega di Pietro Chiesa nel 1932, sono esposti all’interno della grande mostra sul pittore in corso al Vittoriano. Una duplice occasione – mostra e restauro della vetrata – per riscoprire una delle figure fondamentali del panorama italiano del secolo scorso («Avete un grande artista, forse il più grande del momento», scriveva di lui Picasso), che nel dopoguerra pagò con un parziale e immeritato oblio lo scotto della vicinanza a Mussolini. La vetrata, ad ogni modo, è solo uno dei tesori dell’edificio in stile fascista, che all’epoca di Sironi si chiamava Palazzo delle Corporazioni ed è «quasi un manuale di storia dell’arte degli anni ’30», come ha spiegato Daniela Porro, soprintendente per il patrimonio storico-artistico di Roma. Al suo interno sono stati catalogati oltre 450 fra mobili d’epoca, dipinti (alcuni firmati da Depero e Prampolini) e arazzi come quelli di Ferruccio Ferrazzi. Nelle prossime settimane Acea provvederà anche alla nuova illuminazione a led dell’ingresso e della vetrata sironiana, che così potrà essere ammirata sempre. Anche quando fuori piove.
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