Mafia capitale, iniziati gli interrogatori. Trema anche il Pd, Orfini: "Da rifondare". M5S: "Sciogliere Comune" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, iniziati gli interrogatori. Trema il Pd, Orfini: “Da rifondare”. M5S: “Sciogliere il Comune”

Il sindaco Marino ha revocato l'incarico a Politano, responsabile Trasparenza e anticorruzione in Campidoglio. Carminati tace, decine di nomi nel mirino dei pm

Il giorno dopo il terremoto ‘Mafia Capitalè che ha travolto il Campidoglio si cerca di metabolizzare quanto accaduto. C’è un clima di attesa. E di preoccupazione che ieri sia stato soltanto l’inizio. Ignazio Marino prende le distanze ed assicura di aver «sbarrato le porte agli inciuci e ai rapporti poco chiari». E per il sindaco-chirurgo è ora di «cambiare la città» con un ‘governo degli onestì. Il Movimento 5 Stelle intanto passa all’attacco: «Chiediamo che il Comune di Roma venga sciolto per mafia. Ci sono tutti i presupposti». I pentastellati si sono presentati in gran forza oggi in Campidoglio. Con tanto di arance. Parlamentari e consiglieri comunali parlano di una Roma «infangata e distrutta da un sistema corrotto schifoso» e di un affaire trasversale ai colori politici: «Sono coinvolti tutti – dicono i Cinquestelle – Destra e sinistra. Solo noi no». «Marino è solo una foglia di fico in un sistema complesso gestito dai criminali – tuona il deputato Alessandro Di Battista – Per incapacità non è degno di fare il sindaco a Roma. Gli incapaci sono colpevoli quanto i delinquenti». E poi fanno un salto in Prefettura per incontrare Giuseppe Pecoraro e chiedergli di sciogliere il Comune di Roma per infiltrazioni mafiose: «Il Prefetto è molto preoccupato ed ha bisogno di valutare insieme al governo – spiega il deputato Andrea Cecconi – Quindi non è corretto dire che andrà nella direzione dello scioglimento ma sa benissimo che la situazione è molto grave e che potrebbero esserci i presupposti. E, se ci sono, ha detto che non si tirerà indietro». Intanto in casa del chirurgo si fanno i conti con lo tsunami dal volto di una Cupola mafiosa, ibrido tra criminalità e politica, che si è portato via anche un pezzo dell’amministrazione Marino: via l’assessore alla Casa Daniele Ozzimo e il presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti, entrambi del Pd, indagati nell’inchiesta e dimessisi ieri, anche se dichiarandosi estranei alla vicenda. Il sindaco, da parte sua, oggi ha rimosso Italo Walter Politano dalla direzione Integrità, Trasparenza e Semplificazione Amministrativa del Campidoglio, anche lui indagato. «L’ho detto e lo ripeto – dice Marino – Abbiamo sbarrato la porta agli interessi, agli inciuci, ai rapporti poco chiari. Il nostro obiettivo resta uno e uno soltanto: cambiare questa città solo per i romani e le romane». E per farlo l’intenzione, ‘cinguettà su Twitter il primo cittadino, è di lavorare «insieme ai cittadini onesti». Nel frattempo i consiglieri comunali sono alla ricerca del successore di Coratti per guidare l’Aula Giulio Cesare – nel totonomine ci sono Gianni Paris (Pd), Luca Giansanti (Lista Civica Marino) e Gemma Azuni (Sel) – mentre nell’ufficio con affaccio sui Fori imperiali si lavora al ‘puzzlè giunta. Un Marino-bis che per ora sembra slittare. Dopo le dimissioni venerdì scorso di Luca Pancalli, titolare allo Sport, e quelle arrivate ieri di Ozzimo si cerca una quadra tra i tasselli del mosaico delle poltrone. Di certo l’uscita di scena di Ozzimo ha complicato il rimpasto. Non si sa se sarà out l’assessore alle Politiche Sociali Rita Cutini mentre Maurizio Pucci dovrebbe occuparsi di Lavori Pubblici, delega attualmente nelle mani di Paolo Masini. Quest’ultimo passerebbe alla Scuola, nel caso la ‘fedelissimà di Marino Alessandra Cattoi decidesse di abbandonare quella delega occupandosi solo di Pari opportunità e Politiche europee. Sennò per Masini l’ipotesi è di un assessorato allo Sport con in aggiunta deleghe alla Legalità e alla Trasparenza. Ma ‘i giochì sono ancora da fare.

«E mo vedemo Marino, poi ce pijamo ‘e misure con Marino». È il 2013, il chirurgo democratico ha vinto le elezioni per il sindaco di Roma e ‘Mafia Capitalè ha il problema di insinuarsi nella nuova amministrazione. Perchè «se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati», dice Salvatore Buzzi intercettato dai carabinieri del Ros. Il braccio destro del capo Massimo Carminati, quello che tiene i rapporti con la politica, conta però di avere delle buone carte anche nel Pd. «C’avemo Ozzimo (Daniele, poi nominato assessore alla Casa, indagato e dimissionario, ndr)», dice Buzzi. E ancora, «me sò comprato Coratti (Presidente Pd dell’Assemblea capitolina, anche lui indagato e dimessosi ndr), lui sta con me, gioca con me ormai». Un altro su cui l’ex estremista di sinistra condannato per omicidio e divenuto ras delle coop sociali punta è Umberto Marroni, deputato Pd, ma nel 2013 capogruppo in Campidoglio. «Se vince il centrosinistra siamo rovinati – dice Buzzi in un’altra intercettazione – solo se vince Marroni andiamo bene». Tanto che Mafia Capitale pensa di sostenerlo nella corsa al Campidoglio. «Noi oggi alle cinque lanciamo Marroni alle primarie per sindaco». «Fantasie, millanterie», ribatte Marroni, che ricorda di aver sempre «denunciato il malaffare e gli scandali dell’amministrazione Alemanno». La tela di Buzzi – da molti anni introdotto nel circuito dell’assistenza agli immigrati e ai nomadi – si stende anche sul vicesindaco Luigi Nieri di Sel. «Dacce una mano – gli dice – perchè stamo veramente messi male». E Nieri risponde: «Come no? Assolutamente va bene. Poi ce vediamo pure». Un collaboratore di Buzzi afferma di sperare in Nieri per arrivare a Marino. Il braccio destro di Carminati si affida anche a Luca Odevaine, ex collaboratore del sindaco Walter Veltroni, sperando che diventi capo di gabinetto di Marino. «Ci si infilano tutte le caselle … qualche assessore giusto … ci divertiremo parecchio», dice Buzzi in una intercettazione. Secondo quanto emerso Odevaine veniva pagato 5 mila euro al mese dall’organizzazione. Ma Marino vuole nominare esterni alla guida dei Dipartimenti del Comune e anche se incontra difficoltà «perchè prendono solo 3.500 euro al mese», come nota Buzzi, le persone scelte sono più difficili da avvicinare per la mafia romana. Il nuovo sindaco sembra un «marziano» – come si è definito lui stesso – anche a Carminati e soci. «Loro stanno facendo un’operazione direttamente con Zingaretti per sistemarsi Berti (Giuseppe, avvocato nominato da Gianni Alemanno nel Cda di Ama, indagato, ndr) questi qua, pè sistemasse … perchè de Zingaretti se fidano de Marino non se fida nessuno». Mafia Capitale si muove anche alla Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti. Il consigliere Pd Eugenio Patanè, indagato, avrebbe preso 10 mila euro. Buzzi dice di avere «un altro che mi tiene i rapporti con Zingaretti» e di pagarlo «2.500 euro al mese». «Perchè i contatti con me erano impossibili – commenta Zingaretti -. Mai avuta la percezione che ci fosse qualcuno. Ben vengano le indagini».

C’è una città che trema e c’è un partito a Roma che sembra sgretolarsi sotto il peso della cupola nera di intrecci politico-mafiosi comandata da Massimo Carminati. Per Renzi il Pd Roma ormai non è solo un fastidio di beghe correntizie e dissidi col sindaco «marziano» Ignazio Marino. Ma è un vero problema Capitale, una emergenza morale da affrontare subito. «Il partito a Roma va rifondato», tuona il pur pacato presidente del partito Matteo Orfini. Perchè, in casa Pd, è un pò come assistere al crollo del Colosseo. Perchè qui un tempo c’era il Modello Roma, virtuoso sistema amministrativo nell’asse di continuità Rutelli-Veltroni. Mentre ora alcuni pezzi politico-amministrativi del partito si ritrovano nelle quasi 1200 pagine di un’ordinanza che disegna una Roma melmosa e illegale. A risultare indagati sono l’ormai ex assessore capitolino Daniele Ozzimo, l’ex presidente dell’Aula Giulio Cesare Mirko Coratti e il consigliere regionale Eugenio Patanè. Ma nell’ordinanza vengono citati uomini come Umberto Marroni, ex capogruppo in Campidoglio del partito. E poi c’è un arrestato eccellente come Luca Odevaine, già vicecapo di gabinetto di Veltroni. Per non parlare dei tanti dirigenti, funzionari, manager di «area» o comunque vicini al Pd indagati o arrestati. «Emerge a Roma un partito da ricostruire su basi nuove. Credo che la segreteria nazionale darà al più presto una risposta», riflette Orfini. E c’è da giurare che si tratti di commissariamento. La richiesta ora è fare pulizia e anche subito. Già ieri il ministro Maria Elena Boschi aveva sottolineato che «il Pd romano deve fare chiarezza: evidentemente a Roma c’è un problema». La valanga giudiziaria è arrivata in un momento di tensioni politiche forti all’interno del partito romano e laziale: da una parte tra il sindaco e la sua maggioranza, tanto che si era arrivati a parlare di nuove primarie per il primo cittadino, criticato soprattutto da quel Pd ora sconvolto dall’inchiesta; dall’altra la vicenda del deputato Marco Di Stefano accusato di aver preso una tangente milionaria quando era assessore regionale nella giunta Marrazzo. Uno scenario che, a 10 giorni dall’assemblea nazionale fissata per il 14 dicembre, porta oggi il deputato del Pd Walter Verini, capogruppo della Commissione Giustizia del Pd alla Camera a dire di augurarsi «che davanti a una situazione di emergenza come quella che si è profilata a Roma il Pd risponda con decisioni di emergenza all’altezza della situazione». Non meno dure le parole del deputato del Pd Roberto Morassut, già assessore nella giunta Veltroni, che chiede «l’azzeramento del tesseramento e degli organismi assembleari eletti a Roma, nelle province e a livello regionale». Sotto accusa ora sono anche le primarie. «C’è una questione di sistema sulla selezione della classe dirigente affidata sempre più all’esterno con le primarie e le preferenze, un meccanismo che rende più difficile il controllo da eventuali infiltrazioni», riflette Orfini. E Morassut punta il dito contro le «tribù interne del partito, non correnti ma tribù che si confrontano solo sul terreno del potere».

– Il day after dello tsunami giudiziario che ha sconvolto i palazzi della politica all’ombra del Campidoglio ha viaggiato su due direttrici: i primi interrogatori di garanzia e l’accelerazione dell’indagine che ora punta a verificare il livello di infiltrazione dell’organizzazione capeggiata da Massimo Carminati anche negli uffici della Regione Lazio. Sono decine i nomi nel mirino dei pm, nomi di dirigenti di enti pubblici, politici, imprenditori. E si scava nella mole di carte sequestrate ieri nel corso delle perquisizioni. Intanto il «Re di Roma» Massimo Carminati tace: ha deciso di non rispondere alle domande dei magistrati. L’ex Nar, da ieri a Regina Coeli perchè ritenuto capo di un ramificato clan mafioso della Capitale, ha deciso di fare scena muta davanti al gip Flavia Costantini. Non così Franco Panzironi, altra figura chiave della maxi inchiesta perchè ritenuto l’anello di congiunzione tra il mondo politico e quello «di mezzo», quello del clan, fatto di illeciti e corruzione. Panzironi, ex ad di Ama, ha respinto le accuse fornendo una versione dei fatti ritenuta dagli inquirenti per niente convincente. «Non sono mai stato a libro paga di nessuno», ha sostanzialmente detto Panzironi definendo come «un fatto normale» i finanziamenti sospetti, circa 40 mila euro, ricevuti dalla Fondazione Nuova Italia, il cui presidente è Gianni Alemanno. Ma nell’ordinanza i sodali di Carminati più di una volta si lamentano dei «soldi dati a Panzironi», fino a «15 mila euro al mese». Nella prima tornata di interrogatori di garanzia quasi tutti hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Stessa scelta fatta da Luca Odevaine, ex capo gabinetto dell’ex sindaco Veltroni e già responsabile della polizia provinciale. La decisione degli indagati di non rispondere è strettamente legata alla volontà di capire, carte alla mano, lo stato dell’indagine. L’ordinanza ricostruisce, in sostanza, la storia politico-affaristica degli ultimi anni. Una analisi approfondita della «Mafia Capitale» e dei suoi numerosi interessi illeciti. Il gruppo Carminati era particolarmente attento alle evoluzioni dello scenario politico dell’amministrazione capitolina. Pronto a cambiare «pelle» con i mutamenti della classe dirigente. Ma il sistema era complesso e ramificato e aveva puntato anche alla Regione Lazio. L’inchiesta ha in serbo nuovi colpi di scena.

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