Colpo di testa di Pruzzo: "Volevano levarmi di mezzo", la confessione choc del bomber giallorosso | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Colpo di testa di Pruzzo: “Volevano levarmi di mezzo”, la confessione choc del bomber giallorosso

L’uomo nero che si portò via Agostino Di Bartolomei torna a bussare alla porta di quella Roma che fu vice-campione d’Europa, e con la Coppa in mano per 55 secondi. A volte non basta aver fatto impazzire di felicità una città e una tifoseria intera. Certi demoni ti presentano comunque il conto, e a quel punto diventa la sfida più difficile da vincere, innanzitutto con se stessi. Lo racconta Roberto Pruzzo che nell’ultimo capitolo della sua autobiografia ‘Bomber’, scritta con la collaborazione di Susanna Marcellini, edita da Ultra e appena uscita rivela il proprio lato nascosto: «Sono un depresso che passa dall’allegria all’umore più nero», che è anche il titolo dell’ultimo capitolo del libro. Da sempre ‘orsò e ‘brontolone, Pruzzo non si fa sconti definendosi «un uomo assente, solitario: poco marito, poco compagno, poco padre». Ma in tanti continueranno ad amarlo per quella cinquina realizzata contro l’Avellino, per il gol in rovesciata all’ultimo minuto contro la Juventus, o quelli nei derby e la scritta «Ti Amo». Alla Roma sanno bene che devono a lui, al Bomber, quella Coppa dei Campioni sfiorata, con quella rete in finale che si rivelò inutile, e l’altra nei quarti alla Dinamo Berlino, con la corsa sotto la curva Sud e l’abbraccio di cento persone sulla pista, proprio come fece anche dopo la doppietta al Dundee. Ma a Pruzzo dentro sono rimasti soprattutto «i gol sbagliati e le sconfitte. Delle vittorie ho goduto poco, perchè sono subito volate via. Le sconfitte no, sono rimaste qui. E ancora ci combatto. La retrocessione in B del Genoa causata anche da un mio rigore sbagliato e la finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool (nonostante il mio gol…) ancora mi vengono a trovare ogni tanto». Segni di una sensibilità rara per molti, figurarsi per un ex idolo degli stadi, e di una tifoseria che non cessa di amare quel n.9 che regalava sogni spesso non realizzati. L’autoanalisi di Pruzzo arriva al punto di rivelare che «ogni tanto penso che sia giunto il momento di togliermi dai co…., un pò perchè sono stanco, un pò perchè ho voglia di non rompere più le palle a nessuno. Ma poi accadono quelle cose che ti fanno pensare che è più forte lo spirito di sopravvivenza». «Come quando – continua Pruzzo nel libro con prefazione di Michel Platini – mi chiamano i miei amici di Dezza, cacciatori di un paese vicino a Lucca. Amici di una vita, che mi invitano a mangiare i tordi e le beccacce, quelli con cui cazzeggiamo tra uomini, gli stessi che riescono a farmi tornare il sorriso allontanando ‘l’uomo nerò che ogni tanto mi viene a trovare. Gli stessi amici che riescono a farmi pensare che forse in fondo è meglio aspettare un altro pò». Oggi Pruzzo, dai microfoni dell’emittente romana Radio Radio di cui è opinionista, ha provato a spiegarsi dicendo che «sapevo bene a cosa andavo incontro. Ma ho deciso di dire chi sono veramente, poi uno ne fa l’uso che vuole. La realtà è scritta lì. Non mi sento imbarazzato, quando dici la verità probabilmente la gente non se l’aspetta, ma sapevo benissimo che sarebbe scoppiata una situazione di questo tipo. L’avevo detto anche all’editore: voglio dire fino in fondo quello che sono». Intanto è stato immortalato nella formazione ideale della Hall of Fame giallorossa, in un tridente con Bruno Conti, amico vero oltre che ex compagno, e ad Amedeo Amadei, ma per capire chi sia veramente Pruzzo va letta la frase in cui racconta di Sergio Brio, che lo marcava e picchiava a ogni scontro diretto: «è diventato un amico». E un bel ricordo a cui aggrapparsi.

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