Mafia capitale, il sindaco Marino incontra Cantone: in corso una verifica sugli appalti dubbi | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Mafia capitale, gli appalti nel mirino dell’anticorruzione. Il Pd si affida a Orfini, lo scioglimento in mano al prefetto

Dopo il terremoto giudiziario, Marino incontra Cantone; mentre il ministro Alfano si dice pronto a valutare ogni decisione di Pecoraro. A rischio il consiglio comunale

– L’inchiesta «Roma Capitale», che sta svelando intrecci corruttivi tra politica e criminalità, e metodiche mafiose nella gestione degli affari, fa emergere dubbi sul sistema degli appalti pubblici. Ad accendere un faro sarà ora l’Anticorruzione: i tecnici dell’Authority esamineranno in controluce quelli sospetti. Un’operazione che necessita di una sinergia con l’ente pubblico. Non a caso il sindaco Ignazio Marino ha incontrato oggi il presidente Raffaele Cantone per chiedere all’Authority «la verifica uno per uno di tutti gli appalti dubbi o opachi». «Faremo le verifiche e procederemo al commissariamento di quegli appalti conquistati grazie alla corruzione», risponde Cantone. L’Anticorruzione ha la facoltà di effettuare controlli sulle società partecipate dagli enti pubblici: questa ipotesi ora potrebbe riguardare anche alcune delle partecipate dal Comune di Roma. Per Expo Cantone ha utilizzato la formula dell’unità operativa speciale, un pool costituito anche attraverso soggetti esterni provenienti dalla Guardia di Finanza. Per la vicenda romana, invece, il nucleo sarà individuato solo all’interno della stessa Autorità Anticorruzione e in particolare tra gli esperti dell’ex Authority per gli appalti pubblici, che è stata inglobata nell’Anticorruzione. Per questo Cantone specifica «nessun pool ad hoc, nessuna attività speciale». L’incontro tra lui e Marino è durato circa un’ora e mezza. Al momento il primo cittadino della Capitale non ha consegnato documentazione al presidente dell’Anticorruzione Cantone, ma ha annunciato che fornirà una lista degli appalti sospetti, perchè l’Anticorruzione possa avviare i propri controlli. L’inchiesta «Roma Capitale», osserva Cantone, mette in evidenza «lobby affaristiche che applicano logiche di tipo mafioso», con cui «si mettono a libro paga soggetti che al momento opportuno ti possono servire: questa è una delle novità più importanti che è emersa». L’inchiesta, inoltre, «smentisce l’idea che anche a Roma ci fossero solo le mafie tradizionali», perchè quella che agiva è un’organizzazione la cui «origine è tutta romana». Salvare il buono che c’è. Non sembra facile la missione di Matteo Orfini, fino a ieri «solo» Presidente del Pd di Roma, e ora soprattutto commissario di un partito capitolino allo sbando. Un partito sventrato dalle tribù interne e anche da un’inchiesta sulla Mafia Romana che stando alle accuse della Procura getta un’ombra su esponenti eccellenti negli enti locali. E così oggi Orfini è salito in Campidoglio da quel sindaco, Ignazio Marino,che fino a qualche settimana fa il Nazareno pungolava sollecitando un «cambio di passo». Ora da ricostruire non è la giunta Marino ma il Pd romano affinchè, cambiando lui sì passo, diventi «argine ai poteri criminali». E «il buono che c’è» inizia soprattutto dal marziano Marino tanto che il vicesegretario del partito Debora Serracchiani esplicitamente dice: «il cammino che per ricostruire al fiducia ci vede al fianco della magistratura e lo percorriamo insieme al Sindaco Marino». Tanto al fianco di Marino che Orfini rigetta l’ipotesi scioglimento del Comune di Roma, invocata da M5S, perchè «significherebbe seguire la linea della mafia, dei poteri criminali che hanno provato ad infiltrarsi anche in questa Amministrazione, provando ad aggredirla perchè non faceva quello che loro chiedevano». Insomma a 20 anni dal Modello Roma di Rutelli e Veltroni il Pd ha il compito durissimo di far recuperare al partito romano credibilità, trasparenza, affidabilità. Ripartendo dal punto fermo del sindaco. «Sono stato mandato qui – sottolinea Orfini – perchè c’è un problema e per cercare di salvaguardare il tanto di buono che c’è nel Pd». Anche se ormai appare certo che «ciò che è emerso dimostra che anche nel nostro partito, in casi speriamo limitati, è stato permeabile alle infiltrazioni». Le ombre sono state allontanate per ora: via il presidente dell’Aula Giulio Cesare Mirko Coratti, l’assessore capitolino Daniele Ozzimo, il presidente della Commissione regionale cultura Eugenio Patanè, tutti Pd. Ma resta quel numero monstre dei cento indagati dove figurano alcuni politici locali. Per non parlare di dirigenti e imprenditori di «area». Un numero che fa tremare i palazzi. Ecco perchè la decisione di commissariare subito il partito, «una reazione pronta», dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando, una diga contro quella parola «mafia» che a Roma, ha svelato il Procuratore Capo di Pignatone, non era affatto leggenda ma realtà. L’appuntamento per ripartire lo annuncia lo stesso Orfini: «il 10 ci sarà una grande assemblea pubblica in periferia, al Laurentino 38. Riportiamo il PD dove deve essere, tra la gente. È lì che ricominceremo a discutere con i nostri circoli, gli scritti e gli elettori in merito a quello che è successo e a come ripartire».

«Valuterò con ogni attenzione quel che il prefetto di Roma mi farà avere dopo avere studiato le 1200 pagine dell’ordinanza». Lo dice il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, intervistato dal Tg5, sull’inchiesta Roma Capitale. Il prefetto si è riservato di valutare sulla possibilità di chiedere lo scioglimento del Comune per mafia dopo aver letto gli atti. «È troppo presto – sostiene Alfano – per dire quali saranno gli sviluppi e non possiamo fare dal Viminale una valutazione politica, ma tecnica relativamente alle conseguenze che può avere dal punto di vista del possibile rischio di infiltrazioni».

– È per ora nelle mani del prefetto Giuseppe Pecoraro la ‘patata bollentè del possibile scioglimento del Comune di Roma per mafia, come chiesto dall’M5S a seguito dell’inchiesta della procura capitolina. Ma, ha spiegato lo stesso prefetto, la sua valutazione sarà girata al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che deciderà se portare la proposta in Consiglio dei ministri. «Bisogna tenere conto – ha sottolineato Pecoraro – che siamo la Capitale e la nostra decisione, qualunque essa sia, riguarderà tutto il nostro Paese». Sarà una decisone politica, dunque. Nel 2012 il Consiglio dei ministri, su proposta dell’allora ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, dispose lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria, il primo capoluogo di provincia ad essere colpito dal provvedimento. La materia è regolata dall’articolo 143 del testo unico sugli enti locali, che prevede la possibilità di sciogliere i consigli comunali e provinciali quando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori»…, «ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». Tocca al prefetto disporre gli accertamenti per verificare se sussistano queste condizioni, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente. In questo caso il prefetto nomina una commissione d’indagine che, entro tre mesi dalla data di accesso, gli consegna le proprie conclusioni. Entro 45 giorni dal deposito delle conclusioni, il prefetto invia al ministro una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi. Lo scioglimento è quindi disposto con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione. Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, composta di tre membri scelti tra funzionari dello Stato e magistrati, che rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento, il ministro, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento.

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login