Mafia capitale, task force per la legalità: gli ispettori in Campidoglio. La cupola mirava in alto, gli arrestati si difendono | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, task force legalità: ispettori in Campidoglio. La cupola mirava in alto, gli arrestati si difendono

Il prefetto Pecoraro inizia l'accesso agli atti, su input del ministro Alfano; mentre il sindaco Marino prepara la sua giunta e il Pd fa quadrato intorno al 'Marziano'

È il momento della pulizia. E per farla Prefettura e Campidoglio stringono un patto ‘anti-mafià. Un’intesa per liberare Roma da quel ‘Mondo di mezzò di cui parla il boss Carminati. Da una parte l’accesso agli atti con la commissione inviata dal prefetto Giuseppe Pecoraro, su input del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che dovrà appurare se i tentacoli della Cupola nera abbiano messo radici profonde sul colle capitolino. Dall’altra il sindaco Ignazio Marino, ormai sempre più ‘blindatò dal Pd, al lavoro per creare una ‘giunta della legalita« e pronto anche ad aprire le porte della casa dei romani al pool dell’anticorruzione di Raffaele Cantone. Gli ispettori del Prefetto a breve faranno visita a Palazzo Senatorio per verificare la sussistenza di condizionamenti criminali sul Comune di Roma. E ci vorranno mesi per il verdetto finale. Intanto ieri c’è stato un faccia a faccia tra Marino e Pecoraro. »Auspico fortemente che l’azione del prefetto sia la più incisiva possibile – chiosa il sindaco – in modo che se ci sono altre persone che devono andare in prigione ci vengano portate al più presto«, mentre il prefetto si dice pronto ad iniziare il suo lavoro »già nei prossimi giorni«. Infine, il sindaco avanza anche la richiesta di coinvolgere nell’indagine gli ispettori del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), che proprio lui ad inizio mandato aveva chiamato per fare chiarezza sul tema del salario accessorio. E la task-force di commissari potrebbe essere così formata: un prefetto, un viceprefetto ‘espertì in appalti, e un funzionario per l’appunto del Mef. Intanto il Partito democratico fa quadrato attorno al chirurgo ‘marzianò. Un tempo ostaggio di tribù e correnti dem – alcuni consiglieri comunali erano pronti poche settimane fa a cacciarlo che »tanto il voto non è una tragedia« – oggi Marino è in casa Pd il paladino della trasparenza e della legalità contro lo tsunami ‘Mafia Capitalè. E dal Nazareno la linea è chiara: »ripartire da lui per ripulire tutto, anche casa nostra«. Per questo, nel pomeriggio, a far visita al primo cittadino è stato il presidente del Pd Matteo Orfini. »Marino è un buon sindaco – dice il neocommissario del partito romano inviato da Matteo Renzi – inoltre dalle carte dall’inchiesta emerge che è un nemico della criminalità organizzata e della mafia«. E poi parlando del Pd di Roma osserva che »da anni era ostaggio di gruppi dirigenti che pensavano più alle guerriglie di potere e corrente piuttosto che occuparsi della città: questo rende un partito più permeabile«. Altolà quindi alle ‘tribu», benvenuto solo quello che qualcuno ha definito il «correntone unico della legalità». E per arginare lo tsunami ‘Mafia Capitalè il sindaco-chirurgo continua a lavorare al ‘trapianto di legalita« nella sua giunta, ‘moncà dell’assessore alla Casa Daniele Ozzimo (Pd) dimessosi perchè indagato nell’inchiesta ‘Mondo di mezzò. Obiettivo, aumentare le ‘difese immunitariè dell’ esecutivo capitolino con la creazione di un assessorato alla Legalità: si pensa a un ex della magistratura, della Corte Costituzionale o della Corte dei Conti. Il primo cittadino è alla caccia di una figura »al di sopra di ogni sospetto«, di un simbolo della lotta alla criminalità organizzata per apporre alla sua giunta un sigillo di trasparenza. Ma in Campidoglio si attende anche il pool anti-corruzione di Raffaele Cantone: dovrà passare al setaccio tutti gli appalti ‘opachì presenti e passati. Di qui, per molti, serie preoccupazioni per il futuro prossimo.

– «Carminati è tutto tranne che un mafioso. La mafia romana non esiste». Parola dell’avvocato del presunto boss Giosuè Naso, secondo il quale «dopo 4 anni di indagini e milioni spesi non è che sia venuta fuori poi questa cosa…». Massimo Carminati è «una roccia» in carcere, dice il suo legale. Gli altri arrestati interrogati oggi – quattro degli otto finiti ai domiciliari – respingono le accuse. Domani gli ultimi interrogatori in procura a Roma, da giovedì si passa al Tribunale del Riesame dove i legali chiederanno la revoca dell’arresto e soprattutto contesteranno l’associazione mafiosa. Dal mare delle carte dell’inchiesta intanto emergono altri dettagli sulla rete di rapporti degli uomini considerati legati a Carminati e a Salvatore Buzzi, il suo braccio imprenditoriale. Una trama che arrivava – o aspirava ad arrivare – anche al ministero degli Interni e al Vaticano. Al Viminale si muoveva Luca Odevaine, un passato nelle amministrazioni locali di sinistra e un presente al Tavolo nazionale su immigrati e richiedenti asilo. Da lì – per 5 mila euro al mese pagati da Buzzi, secondo il Ros – cercava di orientare le scelte a favore delle coop sociali di Mafia Capitale. Buzzi dopo aver perso per l’intervento del Tar del Lazio l’appalto da 20 milioni per il Cara di Castelnuovo di Porto voleva aprirne un altro nello stesso posto. E Odevaine si lavora prima il prefetto Rosetta Scotto Lavina – «un’idiota, si affida molto a me perchè non sa dove sbattere le corna», dice intercettato – poi l’altro prefetto Mario Morcone, alla guida di dipartimenti chiave. Odevaine si muove anche in ambienti vicini alla curia romana. Il Vicariato oggi si dice «del tutto estraneo» alle attività della Cooperativa «Domus caritatis» e del Consorzio «Casa della solidarietà», che non sono «riconducibili all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, di cui è in corso la procedura di estinzione». Con il camerlengo di San Trifone parlava Odevaine ricevendo promesse di «passaggi molto in alto». Al Vaticano puntavano invece Ernesto Diotallevi, boss storico indagato come referente di Cosa Nostra a Roma e in rapporti con Carminati. Lui e il figlio Mario erano entusiasti di aver agganciato nel febbraio 2013 il faccendiere Paolo Oliverio, poi arrestato per una truffa da 10 milioni all’Ordine dei Camilliani. «Mamma mia cacciano pure er Papa…tu t’immagini entri a far parte da sicurezza ar Vaticano? – dice Diotallevi senior -. Diventamo miliardari se quello c’ha una mossa per questi prelati». Oliverio si presentava come colonnello della Finanza legato ai servizi e destinato allo Stato Pontificio. Di sicuro c’è un finanziere del Nucleo Tributario di Roma – che affianca il Ros nell’indagine – indagato per abuso d’ufficio: sarebbe intervenuto per sbloccare una pratica. Gli arrestati ai domiciliari sentiti oggi – tra loro funzionari comunali e dirigenti di coop – respingono le accuse. Domani gli ultimi quattro, tra cui Mario Schina, uomo di fiducia di Odevaine. Buzzi lo chiamava ‘il canè, perchè «fa quello che dice ‘il padronè».

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