Mafia capitale, una coop in mano alla 'ndrangheta: ecco il patto Buzzi-Carminati. Arrestati i terminali della cosca Piromalli | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, una coop in mano alla ‘ndrangheta: ecco il patto Buzzi-Carminati. Arrestati i terminali della cosca Piromalli

– Mettere in comune gli utili e le perdite con la ‘ndrangheta. Era la nuova frontiera di Mafia Capitale, che aveva stretto un accordo di reciproca convenienza con la potente cosca Mancuso di Vibo Valentia, secondo il Ros dei carabinieri. Costituendo a Roma nel luglio scorso una cooperativa guidata da esponenti vicini alle ‘ndrine. Due di loro sono stati arrestati in uno sviluppo dell’ inchiesta ‘Mondo di Mezzò. Sono Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, vari precedenti penali pesanti, collegati anche alla cosca Piromalli di Reggio Calabria, ma residenti da tempo nella capitale. Sarebbero stati loro a fare da tramite tra Massimo Carminati e Salvatore Buzzi da una parte, e i Mancuso dall’altra. «Sono andato dai Mancuso per Buzzi», dice Rotolo intercettato. E i Mancuso avrebbero mandato un loro imprenditore di fiducia, Giovanni Campennì, a condurre assieme a Buzzi la coop ‘Santo Stefano onlus’, incaricata della pulizia al mercato Esquilino, nel centro multietnico di Roma. «Tu sarai il presidente de questa cooperativa de ‘ndranghetisti», dice Buzzi a un candidato alla presidenza. I rapporti tra la mafia romana di Carminati e quella calabrese risalgono secondo l’inchiesta a 5 anni fa, quando il consorzio ’29 Giugnò di Salvatore Buzzi prende in gestione il Centro accoglienza rifugiati e richiedenti asilo (Cara) di Cropani (Cosenza) e la cosca Mancuso garantisce protezione. «… in quella rete là comandano loro – dice Ruggiero a Buzzi -, poi in questa rete qua comandiamo noi!!… So passati 5 anni… t’ha toccato qualcuno là sotto?». «Quando io stavo a Cropani (…) – dice Buzzi in un’altra conversazione -, salivo su la mattina e ripartivo er pomeriggio… parlavo con il Prefetto, parlavo con tutti, parlavo con la ‘ndrangheta… E poi risalivo su». In cambio la holding del sociale controllata da Carminati – secondo gli uomini del colonnello Stefano Russo – apre una coop con Rotolo, Ruggiero e Campennì. È ‘il Nerò in persona a dare il benestare. I due ‘affiliatì alle cosche sono stati dipendenti delle società di Buzzi. Ruggiero dal 2009 lavora in Roma Multiservizi, presieduta fino a ottobre 2013 da Franco Panzironi, accusato di prendere ordini da Carminati. Le cose non vanno benissimo, sorgono contrasti nella coop tra gli uomini legati alla ‘ndrangheta e Buzzi interviene. Ma il patto tra cosche e Mafia Capitale regge fino alla retata dei carabinieri.

– Le mani non solo su Roma, ma interessi anche in Calabria. L’emergenza immigrati stuzzicava gli appetiti dell’organizzazione capeggiata da Massimo Carminati, ma per operare in quella terra era necessario il via libera della ‘Ndrangheta. Da qui, e sullo sfondo di interessi comuni, un accordo con le cosche Mancuso di Limbadi, in virtù del quale le rispettive attività si potevano sviluppare senza intoppi. Un mutuo scambio: «lì comandiamo noi, qui loro». C’è anche questo nell’inchiesta su Mafia Capitale ed oggi i mediatori di quell’accordo, Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, sono stati arrestati per associazione di tipo mafioso. Secondo la procura di Roma avrebbero assicurato il collegamento tra la cosca egemone nel vibonese ed alcune cooperative gestite da Salvatore Buzzi. L’appalto per la pulizia del mercato Esquilino, a Roma, in cambio della protezione in Calabria alle cooperative della ‘cupolà che si occupano dell’assistenza ai migranti. Questo l’accordo stipulato dai due gruppi criminali e scoperto dai carabinieri del Ros. «… in quella rete là comandano loro, poi in questa rete qua comandiamo noi!!… So passati 5 anni… t’ha toccato qualcuno là sotto?»: Salvatore Ruggiero riassumeva così, in un colloquio con Salvatore Buzzi, il rapporto tra ‘Ndrangheta e Mafia Capitale. Ai due arresti si aggiunge il sequestro di altre due coop riconducibili a Salvatore Buzzi da parte della Guardia di Finanza di Roma. Si tratta della ’29 giugno Servizì e di ‘Formula Socialè. Le due società, amministrate da persone ora indagate nell’inchiesta Mafia Capitale, avevano un giro d’affari annuo di 15 milioni di euro. L’inchiesta della procura di Roma sembra aver scoperchiato solo la punta dell’iceberg. Lo ha fatto capire, senza tanti giri di parole, il procuratore Giuseppe Pignatone in una seduta davanti alla Commissione Antimafia. «A questa grande operazione, altre ne seguiranno a breve», ha annunciato sottolineando che «la mafia non è l’unico problema di Roma e non è detto sia il principale». Poi, descrivendo la tipologia dell’organizzazione capeggiata da Carminati, Pignatone ha sottolineato la «capacità di ricorrere alla violenza per il raggiungimento di fini leciti e illeciti, e la soggezione verso l’interlocutore». Quanto alle iniziative di Governo in materia di criminalità, il capo della Procura ha dichiarato che, insieme alle iniziative sulla prescrizione, sarebbe «estremamente utile qualche forma di sistema premiale» anche nel campo della corruzione. Oggi, intanto, si è tenuta la prima udienza del tribunale del riesame sui ricorsi presentati da cinque indagati. Il collegio presieduto da Bruno Azzolini si è riservato di decidere, entro domenica prossima, sulle richieste di revoca dell’ordinanza di arresto emessa nei confronti di Massimo Carminati, Riccardo Brugia, Fabrizio Franco Testa, Roberto Lacopo ed Emilio Gammuto. I giudici dovranno pronunciarsi anche sull’aggravante del metodo mafioso contestato agli indagati e contestato dai loro difensori. Intanto il gip Flavia Costantini ha concesso gli arresti domiciliari ad Alessandra Garrone, compagna di Salvatore Buzzi.

Un mondo «di mezzo» popolato da amministratori pubblici corrotti, manager di stato a libro paga del clan, personaggi legati all’eversione nera degli anni di piombo, cooperative gestite da pregiudicati e una galassia di gregari, spesso picchiatori e legati alla criminalità locale. Questo il Dna su cui si fonda Mafia Capitale, l’organizzazione su cui la Procura di Roma sta facendo luce con una inchiesta che sta terremotando i palazzi della politica romana. Massimo Carminati: è «Il »Re«, il capo assoluto del clan. Ex terrorista dei Nuclei armati rivoluzionari, ‘Er cecatò è nato 56 anni fa a Milano. Nel suo passato aderenze con la Banda della Magliana, è lui il »Nero« nel »Romanzo criminale« scritto da Giancarlo De Cataldo. Nel suo curriculm criminale ci sono rapine, come quella clamorosa al caveau della banca interna alla cittadella giudiziaria di Roma, e vicinanze con la grande criminalità organizzata napoletana e siciliana.Dalle carte dell’indagine emerge come l’organizzatore di tutta l’attività illecita del clan. A lui, che in un conflitto a fuoco con un carabinieri perse un occhio nel 1981, tutti gli uomini del sodalizio devono riferire e sottostare. Salvatore Buzzi: braccio destro di Carminati nonchè presidente della Cooperativa 29 giugno. La sua storia è caratterizzata da un omicidio, nel 1980, di un suo collega di lavoro e pr il quale finisce in carcere. Dietro le sbarre avvia una percorso di »redenzione« e riesce, il primo in Italia, a conseguire la laurea in Lettere con il massimo dei voti. Nel 1994 la svolta con la grazia ottenuta dal presidente della Repubblica. Da lì parte la sua scalata. Fonda la Cooperativa per il recupero degli ex detenuto con la quale riesce a stringere rapporti, vincendo appalti, con amministrazioni di sinistra che di destra. Matteo Calvio: è il personaggio che forse più di tutti impersonifica la figura del »gregario« che fa della violenza fisica il suo biglietto da visita. Carminati lo definisce »Watson l’elementare« affidandogli la gestione del »recupero crediti« del clan. È conosciuto con il nomignolo di »Spezzapollici« per le sua capacità di far »ragionare« le vittime che finiscono nel giro d’usra del clan. Dalle carte emerge che ha tentato anche di infiltrarsi nelle forze dell’ordine scatenando però la reazione di Carminati che sintetizza: »Questo ce manna tutti bevuti«. Giovanni De Carlo: detto ‘Giovannonè. Personaggio di spicco dell’organizzazione e cerniera del clan anche con il »bel mondo« dello spettacolo e dello sport. Secondo quanto accertato dal Ros, De Carlo aveva rapporti con molte starlette della tv, come la show girl Belen Rodriguez, ma dava del »tu« anche a cantanti come Gigi D’Alessio. Teo Mammuccari si rivolge a lui per chiedere sotanze dopanti e il calciatore della Roma, Daniele De Rossi, lo chiama per chiedere »una mano« dopo una rissa in discoteca. Di Carlo è legato ad Ernesto Diotallevi (indagato): per gli inquirenti i due sarebbero i referenti del clan nei rapporto con Cosa Nostra. Riccardo Mancini: da sempre braccio destro di Gianni Alemanno ha un passato di militanza nell’estrema destra romana. Ex amministratore delegato dell’Ente Eur è, secondo l’accusa, uno dei manager di stato al »soldo« del clan. Già coinvolto in una recente vicenda giudiziaria per una mazzetta legata ad un appalto per 42 filobus destinati al Comune di Roma, Mancini rappresenta la cerniera tra il clan e le istituzioni. Riccardo Brugia: braccio destro di Carminati e organizzatore dell’associazione. Di fatto collabora con il capoclan a tutte le attività del sodalizio criminale. Franco Panzironi: detto »Tanca« , l’ex amministratore di Ama, rappresenta uno dei »pubblici ufficiali a libro paga che forniscono all’organizzazione uno stabile contributo per l’aggiudicazione degli appalti«. Secondo quanto accertato dagli inquirenti Panzironi avrebbe ricevuto denaro mensilmente dal clan e finanziamenti per oltre 40 mila euro per la Fondazione Nuova Italia da lui amministrata. Gianni Alemanno: l’ex sindaco di Roma è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per gli inquirenti avrebbe fatto nomine »gradite« al clan che garantisce per la Fondazione Nuova Italia, da lui presieduta, finanziamenti per oltre 40 mila euro. Luca Odevaine: politicamente nasce durante l’amministrazione Veltroni dove riveste il ruolo di vice capon di gabinetto. Secondo gli inquirenti avrebbe garantito all’organizzazione il suo appoggio relativo al business dei centri di accoglienza per gli extracomunitari. In alcune intercettazioni emerge come il clan abbia dato ad Odevaine 5 mila euro al mese. Mario Schina: talmente legato a Odevaine da essere chiamato ‘il canè da Buzzi e soci, in contrasto con il suo ‘padronè. Dipendente della municipalizzata Acea, sta ai domiciliari. Mirko Coratti: presidente dell’assemblea capitolina, ora dimissionario. È indagato per associazione a delinquere. In una intercettazione Buzzi afferma di »esserselo comprato, che lui sta con me«. Secondo l’accusa avrebbe avuto dal clan denaro . Giovanni Fiscon: ex direttore generale di Ama. Rientra tra i manager al libro paga del clan. Gli inquirenti hanno ricostruito i rapporti tra lui e Buzzi al punto che il manager contattava il presidente della Cooperativa chiamava per chiedergli copertura politica in caso di futura elezione a Sindaco di Ignazio Marino. Fabrizio Franco Testa: Manager con un trascorsi giudiziaria nell’inchiesta sugli appalti Enav. Per i magistrati è »una testa di ponte dell’organizzazione nel settore politico e istituzionalee e si occupa della nomina di persone gradite al sodalizio in posti chiavi della pubblica amministrazione«.

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