Mafia capitale, nella cooperativa di Buzzi un triste Natale: "Noi traditi" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, nella cooperativa di Buzzi un triste Natale: “Noi traditi”

«Vedevo quel tipo che veniva spesso alla cooperativa. Un giorno ho chiesto ‘Ma chi è?’ e mi hanno detto che era Carminati, il ‘brigatista nerò degli anni ’70. Ho pensato: che ci fa uno così in una cooperativa di sinistra?». Salvatore Patanè se li ricorda quei giorni di qualche anno fa, quando ‘il Nerò cominciò a frequentare assiduamente la ’29 Giugnò di Salvatore Buzzi. Patanè, 53 anni, ex detenuto, nel lontano passato anche per associazione mafiosa, sta nella coop da 15 anni. Ora fa il giardiniere nelle ville di Roma e teme per il suo lavoro. «Se perdo questo che faccio?», si chiede. «Quando sono arrivato nella cooperativa c’erano quasi solo ex detenuti – dice Patanè -. Eravamo una famiglia. Se qualcuno veniva beccato a fare di nuovo reati Salvatore (Buzzi) lo cacciava. Aveva perso la sua seconda opportunità, diceva. La sua ingordigia è iniziata con Alemanno sindaco». Come per l’ex detenuto, per molti soci lavoratori della ’29 Giugnò e delle altre società del gruppo la delusione è forte. Con un Natale triste alle spalle, senza stipendio e tredicesima. Il 30 per cento almeno dei dipendenti del piccolo impero di Buzzi – considerato socio di Massimo Carminati in Mafia Capitale – è costituito da ex detenuti o altre categorie svantaggiate. Alcuni con storie feroci alle spalle, come Khaled Ibrahim Mahmoud, che a 18 anni nel 1985 guidò il commando palestinese che fece 13 morti e 80 feriti all’aeroporto di Fiumicino, sparando contro i banchi della compagnia israeliana El Al. Uscito di carcere nel 2008, ora ha 47 anni e fa anch’egli il giardiniere per la cooperativa. «Ha solo noi – dice Patanè -, se perde il lavoro perde anche la casa che divide con altri». «Ci sentiamo traditi da Buzzi – dice Elvira Castanò, 38 anni, che lavora da poco all’ufficio personale della ’29 Giugnò -. Prima stavo in delle cooperative finte, invece questa era vera. Carminati? Per me era un socio, non sapevo chi fosse davvero». C’è poi Giorgio Rufini, 35 anni, gestore di una quindicina di centri d’accoglienza per la cooperativa Abc, collegata alla ’29 Giugnò. Tra le strutture che coordina il campo nomadi di Castel Romano – finito nell’inchiesta ‘Mondo di Mezzò – e il centro di Castel Verde per senza fissa dimora e donne con bambini, occupato da giorni da operatori timorosi per il proprio futuro. «Buzzi l’ho incontrato una volta sola – racconta Rufini -, ma sapevo che se c’era un problema potevo chiamarlo. Noi davamo l’anima per i centri di accoglienza e l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati si complimentò per come lavoravamo». I lavoratori della ’29 Giugnò si oppongono al sequestro delle quote dei soci da parte del Tribunale e rifiutano di essere accomunati alla mafia. Ma soprattutto temono l’ostilità delle amministrazioni pubbliche al momento del rinnovo dei contratti in scadenza, molti al 31 dicembre. Una storia di cooperazione sociale di successo finita in breve nella polvere. «Eppure vorrei che un giorno la nostra cooperativa diventasse un simbolo dell’antimafia», dice un ex brigatista rosso, anch’egli socio. Un’altra seconda opportunità.

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