La violentò lasciandola in fin di vita, condannato a 7 anni un ex militare | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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La violentò lasciandola in fin di vita, condannato a 7 anni un ex militare

È finito con una condanna a sette anni e otto mesi di reclusione, per stupro e lesioni aggravate dalla crudeltà, il processo in Cassazione all’ex militare Francesco Tuccia che poco più che ventenne quando era di stanza a L’ Aquila ridusse in fin di vita nel febbraio del 2011 una studentessa universitaria assoggettandola a una pratica sessuale brutale ed estrema, il fisting, che rese necessari numerosi interventi chirurgici per ricostruire gli organi interni della ragazza. Rispetto alla condanna di primo e secondo grado, pari a otto anni di carcere, la Suprema Corte ha limato la pena di quattro mesi, probabilmente per la continuità del reato. Dopo l’esplosione di violenza, Tuccia – originario dell’avellinese – aveva lasciato la vittima a terra in preda alle emorragie nel posteggio esterno della discoteca ‘Guernicà di Pizzoli (Aq). Quella sera c’erano quattordici gradi sottozero e solo l’intervento dei vigilantes del locale evitò che la studentessa morisse mentre il suo carnefice era tranquillamente rientrato nel locale per andarsi a lavare il sangue. «In questa drammatica vicenda la realtà ha superato qualunque film dell’orrore», aveva detto nella sua requisitoria di ieri il sostituto procuratore generale della Cassazione Pietro Gaeta chiedendo la conferma della condanna di Tuccia emessa dalla Corte di Appello de L’Aquila il sei dicembre del 2013. Dopo la lettura del verdetto pronunciato oggi dalla Terza sezione penale della Cassazione presieduta da Claudia Squassoni, il pg Gaeta, pur premettendo che è necessario attendere il deposito delle motivazioni per capire le ragioni della decisione degli ‘ermellinì, ha spiegato che la riduzione di quattro mesi dalla condanna è solo «un aggiustamento tecnico». «Il verdetto d’appello ha tenuto – ha aggiunto soddisfatto il Pg – e la cosa importante è che in questa vicenda così drammatica sia stata confermata in pieno la ricostruzione dei giudici di primo e secondo grado per quanto riguarda la condotta e la qualificazione del reato. Per questo mi sembra un’ottima conferma e la rideterminazione della pena per i reati commessi in continuità anzichè in concorso, è solo un piccolo dettaglio», ha concluso Gaeta. Ponderato il commento dell’avvocato Enrico Gallinaro, il legale di parte civile che ha seguito la studentessa e i suoi familiari nelle aule di giustizia e che con loro ha ormai un rapporto molto stretto e affettuoso. «I processi – ha detto Gallinaro – non sono uno strumento di vendetta ma servono per accertare i fatti e attribuire le responsabilità. In certi processi è difficile trovare un vincitore perchè di fronte alla gravità di alcune vicende, come questa, non vince mai nessuno». Lo stesso pensiero lo aveva espresso ieri la mamma della vittima, una donna dalla fede profonda, impegnata nel cattolicesimo di base, che alla figlia ha insegnato a stare dalla parte degli ‘ultimì. «Credo che di fronte a fatti come questo – aveva detto ieri la mamma della studentessa – serve da parte di noi tutti una rivisitazione dei vari ruoli educazionali. La battaglia da combattere è quella dei valori affettivi perchè stiamo perdendo di vista il valore dell’essere umano e una crudeltà come quella che è toccata a mia figlia si spiega solo con la mancanza di riferimenti affettivi e umanistici nell’universo di riferimento del ragazzo che ha compiuto questo scempio». Certamente processi del genere «lasciano sempre sul campo morti e feriti ma non bisogna dimenticare che la sentenza ha un valore risarcitorio: anche se nel caso di mia figlia è come se una vita fosse morta e tutto sia stato da ricostruire da capo». Ieri in Cassazione accanto a questa mamma c’erano tante persone: le donne del centro antiviolenza dell’Aquila, con l’avvocatessa Simona Giannangeli, le dottoresse che hanno seguito la figlia nelle fasi della convalescenza, le insegnanti, le amiche, i familiari. La ragazza di quella notte terribile non ricorda nulla, ogni tanto però la assale la paura di morire provata in quel posteggio mentre la vita la stava lasciando. Ha perso tutti gli esami che aveva fatto ma ha ripreso nuovi studi e si è laureata. Non frequentava discoteche, quella sera erano stati i suoi genitori a insistere perchè andasse a svagarsi. Tuccia ha scontato circa tre anni ai domiciliari, per lui ora si apriranno le porte del carcere dove dovrà rimanere almeno quattro anni.

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