Cucchi, giudici: "Ora nuove indagini: non esclusa responsabilità dei carabinieri, medici attenti" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Cucchi, giudici: “Ora nuove indagini: non esclusa responsabilità dei carabinieri, medici attenti”

Sulla morte di Stefano Cucchi bisogna indagare ancora. Bisogna accertare l’eventualità di altre responsabilità oltre quelle degli agenti della penitenziaria perchè «non può essere definita una astratta congettura l’ipotesi secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia». I giudici della Corte d’Assise d’Appello nelle motivazioni della sentenza, che il 31 ottobre scorso ha assolto sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria, riaccendono una speranza per l’ accertamento della verità sulla morte del geometra romano arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo in ospedale. Una speranza che fa dire al padre di Stefano, Giovanni: «Per noi è una grossa vittoria, sono state riconosciute le nostre istanze, i fatti vanno accertati a 360 gradi». E la sorella Ilaria aggiunge «è un fatto importante e nuovo», anche se non nasconde perplessità: «Ho la sensazione che si faranno indagini per dimostrare che i due pm del primo processo hanno fatto tutto benissimo». I giudici della Corte d’Assise d’Appello lo dicono chiaramente. «Fu picchiato – scrivono – ma c’è incertezza sulla causa della sua morte e su chi possa essere stato a ‘pestarlò». Oggi, il deposito delle motivazioni: 67 pagine dense per spiegare passo passo una decisione che ha catturato l’opinione pubblica, divisa a metà tra colpevolisti e innocentisti. D’altro canto il processo d’appello era nato su una sentenza di condanna solo per i medici che ebbero in cura Cucchi all’ospedale Pertini di Roma. Adesso, i giudici dispongono la trasmissione degli atti al pm «perchè valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse dagli agenti della polizia penitenziaria giudicati». Per i giudici, valutati gli esiti delle perizie compiute, «non possono prospettarsi ulteriori ipotesi: le lesioni subite dal Cucchi debbono essere necessariamente collegate a un’azione di percosse; e comunque ad un’azione volontaria, che può essere consistita anche in una semplice spinta, che abbia provocato la caduta a terra, con impatto sia del coccige che della testa contro una parete o contro il pavimento». Ma c’è qualcosa in più. «Non può essere definita una ‘astratta congetturà l’ipotesi prospettata dalla Corte di primo grado secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare», spiegano. Un’ipotesi che si fonda su concrete circostanze testimoniali, secondo cui «già prima di arrivare in tribunale Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare a un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte». Altro ‘passaggiò importante, quello relativo alla cosiddetta ‘parte medicà per la quale i giudici partono da un’incertezza di base: «Non vi è certezza sull’individuazione della causa del decesso», scrivono, e quindi «non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare». Sulla causa di morte, poi, «le quattro diverse ipotesi avanzate al riguardo, da parte dei periti d’ufficio (sindrome da inanizione), dai consulenti del pubblico ministero (insufficienza cardio-circolatoria acuta per brachicardia), delle parti civili (esiti di vescica neurologica) e degli imputati (morte cardiaca improvvisa), tutti esperti di chiara fama, non hanno fornito una spiegazione esaustiva e convincente». La conclusione dei giudici «è che l’attività svolta da medici e infermieri non è stata di apparente cura del paziente, ma di concreta attenzione nei suoi riguardi». Soddisfazione è espressa dall’avvocato Diego Perugini, legale di uno degli agenti assolti. «Le motivazioni della sentenza hanno confermato quello che per noi era già una certezza: la totale estraneità ai fatti degli agenti penitenziari. Sia in primo grado che in appello sono cadute tutte le contestazioni; di fronte a queste lucide e profonde motivazioni ci auguriamo che prevalga il buon senso e che si possa finalmente scrivere la parola fine su anni di sofferenza vissuti dal mio assistito».

«Me lo dice la mia esperienza di questi cinque anni…». Ilaria Cucchi non crede che la procura di Roma intenda davvero indagare a fondo sulla morte del fratello Stefano nel 2009, dopo un arresto per possesso di droga. Anche se accoglie come «un fatto importante e nuovo» le motivazioni della sentenza d’appello in cui i giudici esortano a una nuova inchiesta, nel caso anche sul ruolo dei carabinieri che ebbero per primi in custodia il giovane geometra. «Non era stato fatto dalla Corte di assise di primo grado», osserva. Ma non si fida Ilaria, simbolo della richiesta di verità sulla fine di Stefano, picchiato è certo, ma non si sa da chi, e morto non si sa esattamente di cosa. Come hanno ribadito anche i giudici di secondo grado nel mandare assolti medici e agenti della penitenziaria. Il padre Giovanni Cucchi invece parla di «grande vittoria» per il rinvio degli atti ai pm e la possibilità di ripartire da zero. «Ho come la sensazione che comunque con questo fascicolo si faranno indagini per dimostrare che i due pm del primo processo hanno fatto tutto benissimo – scrive la Cucchi in un post su Facebook prima delle motivazioni -. Ciò a dispetto dell’evidenza dei fatti sotto gli occhi di tutti. Meglio se a raggiungere questo risultato potrà essere un valente magistrato antimafia. Magari sotto scorta. Allora nessuno potrà dire nulla». Parla del fascicolo senza indagati aperto dalla procura sull’onda dell’indignazione per il nulla di fatto del processo d’appello. «Ma io non ci sto – dice Ilaria Cucchi -. La vita di una persona che viene consegnata alle mani dello Stato viva ed in ottima salute e che viene restituita ai suoi famigliari, dopo il crudele gioco della sberla del soldato, morta ed in quelle terribili condizioni, deve valere almeno il riconoscimento e l’ammissione che i due pm hanno sbagliato. Deve almeno valere le scuse dell’ufficio». «La corte d’assise d’appello spazza via ogni attendibilità e consistenza della tesi della morte per inanizione (di fame e di sete) – osserva la sorella di Stefano -, ma aggiunge che non vi sarebbe una causa di morte certa». Ben diversa la reazione del padre di Cucchi, che si dice «al settimo cielo». «Il rinvio degli atti alla procura è una grossa vittoria per noi – dice – perchè vengono riconosciute le nostre istanze. Questo ci solleva».

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login