L'uomo e la follia tra Pirandello e Cechov al teatro De Filippo | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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L’uomo e la follia tra Pirandello e Cechov al teatro De Filippo

È uno strano animale l’uomo, capace di sublimi slanci di nobiltà d’animo ma anche di essere infinitamente piccolo nelle sue bassezze. Per descriverne le contraddizioni, Glauco Mauri e Roberto Sturno si sono rivolti a due geni della drammaturgia, Luigi Pirandello e Anton Cechov, dai quali hanno tratto «Quattro buffe storie», spettacolo che ieri sera ha debuttato con successo a Roma al teatro Parioli Peppino De Filippo (in replica fino al 15 febbraio). Quattro atti unici compongono la pièce – «La patente» e «Cecè» da Pirandello, «Una domanda di matrimonio» e «Fa male il tabacco» da Cechov -, e offrono una carrellata di situazioni e personaggi che esprimono la forza e l’autenticità della vita vera. Mentre in Pirandello il protagonista Cecè si muove disinvolto nel cinismo di una società frivola e corrotta, e lo iettatore Chiàrchiaro, per poter andare avanti, è costretto a indossare una maschera impostagli da altri sfruttando la iella, unico capitale che possiede, in Cechov la convenzione del matrimonio e i danni provocati dal tabacco offrono lo spunto per sconfinare verso una deriva tragicomica e grottesca. In quest’ottica, ecco allora che la Sicilia e la Russia non sono poi così lontane, se al centro si pone l’essere umano con la sua follia e le sue debolezze: nella modernità sorprendente che li accomuna, i due autori sembrano così vicini quasi da non riuscire a distinguerli. Se Cechov è più tenero laddove invece Pirandello appare più spigoloso e caustico, in entrambi gli scrittori è ugualmente straordinaria la capacità di penetrare nella profondità dell’animo e della mente dell’uomo, per svelarne i segreti. È una fortuna che a interpretarne le parole e il pensiero siano Mauri (qui anche regista) e Sturno, ancora una volta perfetti padroni della scena, in grado di calarsi nei panni dei vari personaggi con la stessa intensità. Con le scene Giuliano Spinelli, i costumi di Liliana Sotira e le musiche di Germano Mazzocchetti, i due attori, complementari l’uno all’altro, conducono per mano lo spettatore a guardare dentro se stesso, come se il palcoscenico potesse idealmente rappresentare uno specchio, a tratti bonario, a tratti deformante, ma sempre così sincero da essere implacabile. Il risultato è uno spettacolo ironico e grottesco, che seduce e conquista, alternando il sorriso alla riflessione: in «Quattro buffe storie» nulla è superfluo e tutto è funzionale al racconto di noi e della nostra società.

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