Mafie, rapporto Dna: "Nel Lazio presenti tutte le organizzazioni. Carminati condizionò l'amministrazione" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafie, il rapporto della Dna: “Nel Lazio presenti tutte le organizzazioni criminali. Carminati condizionò pesantemente l’amministrazione comunale”

"Avvalendosi di personaggi dell'estrema destra romana, divenuti politici o manager, il clan si era prima infiltrato e poi radicato nel contesto politico"

– «Sul territorio laziale sono presenti le articolazioni di tutte le organizzazioni mafiose tradizionali, che si dedicano al riciclaggio e al reinvestimento dei capitali illecitamente accumulati, vi è poi un altro fenomeno, del tutto peculiare alla realtà della Capitale, rappresentato da organizzazioni che sono state qualificate dalla DDA come associazioni di stampo mafioso ma che non fanno riferimento ai sodalizi tradizionali del sud Italia, essendo, per così dire, autoctone». È quanto riporta la relazione 2014 della Dna, direzione Nazionale Antimafia, diretta dal procuratore Franco Roberti. «Il fenomeno – si legge – sul quale vi è già una positiva pronuncia di primo grado relativa ad una delle organizzazioni mafiose stanziate sul litorale romano, mette in evidenza la capacità delle associazioni criminali di adattarsi alle varie realtà territoriali, utilizzando le metodologie ritenute più idonee e perseguendo gli scopi ritenuti più remunerativi in relazione alle caratteristiche socio economiche del territorio». «È evidente – si legge ancora – che lo scopo principale delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, è quello di conseguire importanti profitti, da reinvestire e da utilizzare per accrescere la propria potenzialità criminale. In una città come Roma, una città di servizi e di attività terziarie, gli affari più lucrosi si fanno appunto attraverso l’acquisizione e il controllo di tali servizi e attività, e dunque attraverso l’infiltrazione sistematica nei settori economici e commerciali e nei servizi pubblici, e dunque negli appalti pubblici». A questo proposito viene citata l’associazione capeggiata da Massimo Carminati, «che si dedica ad attività prettamente criminali quali l’usura, le estorsioni, il commercio di armi, – riporta il documento – ma soprattutto si dedica all’acquisizione di appalti in variegati settori in favore delle società controllate dall’organizzazione». Quanto alle organizzazioni mafiose tradizionali «va riconosciuta la duttilità» si legge «e la loro capacità di adeguarsi, nei metodi criminali, alle realtà territoriali su cui esse si insediano. Le mafie tradizionali si atteggiano diversamente al sud, dove il linguaggio delinquenziale ed il messaggio criminale passano necessariamente attraverso minacce, intimidazioni, richieste estorsive e atti di aggressione fisica che giungono fino all’omicidio, rispetto al nord, dove gli interessi della mafia sono soprattutto i grandi appalti, dove gli strumenti utilizzati sono prevalentemente la corruzione, il condizionamento delle istituzioni, lo scambio elettorale e dove il messaggio intimidatorio può non essere esplicito». Lo stesso concetto, riporta il documento della Dna non può invece «evidentemente applicarsi tout court alle organizzazioni autoctone, che non fanno riferimento ad una realtà criminale più ampia e radicata, che spendono il loro personale prestigio criminale e non quello costruito in un diverso territorio. Tuttavia – si legge ancora – il concetto viene ugualmente richiamato in quanto, nella costruzione accusatoria formulata dall’autorità giudiziaria per tali organizzazioni autoctone, la forza intimidatrice del sodalizio viene individuata sia sulla base di circostanze oggettive, e dunque di atti di sopraffazione e intimidazione posti in essere, ma soprattutto sulla base del forte prestigio criminale del capo, che si riverbera sull’associazione che viene così accreditata come un centro di potere malavitoso che genera, nella collettività a cui si riferisce, una condizione di assoggettamento».

 

– Sul territorio laziale sono presenti le articolazioni di tutte le organizzazioni mafiose tradizionali, che si dedicano al riciclaggio e al reinvestimento dei capitali accumulati illecitamente; si aggiunge poi un altro fenomeno, del tutto peculiare alla realtà della Capitale, rappresentato da organizzazioni che sono state qualificate come associazioni di stampo mafioso ma che non fanno riferimento ai sodalizi tradizionali del sud Italia, essendo, per così dire, autoctone. Lo scrive la Direzione nazionale Antimafia nella relazione 2014 presentata oggi dal presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi e dal procuratore nazione Antimafia Franco Roberti, a proposito delle mafie nel Lazio. In particolare, poi, riferendosi all’inchiesta su «Mafia Roma» capeggiata dal boss Massimo Carminati, la Dna rileva come «avvalendosi del legame con alcuni personaggi dell’estrema destra romana divenuti negli anni importanti personaggi politici o manager pubblici, e attraverso alcuni esponenti del mondo imprenditoriale, l’organizzazione di Carminati ha potuto condizionare pesantemente il contesto politico ed amministrativo romano, determinando la nomina di personaggi »graditi« in posizioni strategiche quali quelle di presidente e di capo segreteria dell’assemblea capitolina, di presidente della Commissione per la Trasparenza del consiglio capitolino, di direttore generale, consigliere di amministrazione, dirigente dell’azienda municipalizzata Ama; ottenendo l’allontanamento e la sostituzione del direttore del dipartimento per i servizi sociali del Comune di Roma in quanto non »sensibile« alle esigenze del sodalizio; intervenendo nelle elezioni comunali di Sacrofano, paese alle porte di Roma». «In tal modo – scrive la Dna – il sodalizio ha costituito quello che i Pubblici Ministeri definiscono un capitale istituzionale, consistente in un articolato sistema di relazioni arrivato a coinvolgere i vertici delle istituzioni locali, grazie al quale ottenere appalti o accelerare pagamenti, o comunque individuare fonti di arricchimento in favore delle aziende controllate, e realizzare così ingentissimi guadagni».

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