Mafia capitale, la Cassazione conferma gli arresti | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, la Cassazione conferma gli arresti

– Confermati dalla Cassazione gli arresti in carcere per tre dei quattro indagati ‘eccellentì nell’ambito dell’inchiesta ‘Mafia Capitalè della dda di Roma. Rimangono dunque in carcere, sparpagliati nei penitenziari di tutta Italia, come accade in questi casi, il presidente della cooperativa ’29 giugnò Salvatore Buzzi, l’ex comandante della polizia provinciale di Roma Luca Odevaine – vicecapo di gabinetto del sindaco ai tempi di Walter Veltroni – e l’ex ad di Ama Franco Panzironi insieme agli altri 16 indagati che avevano fatto ricorso contro le diverse misure cautelari poste a loro carico. Uno solo, infatti, Giovanni De Carlo, potrà tornare in libertà per l’annullamento dell’aggravante mafiosa contestata nei suoi confronti. Per tutti gli altri, niente da fare. La difesa di Massimo Carminati, l’ex Nar della banda della Magliana, ritenuto il braccio esecutivo di Buzzi, ha preferito invece non fare ricorso e attendere il verdetto del ‘Palazzacciò sugli altri coindagati, evitando così che si formasse un giudicato cautelare a suo carico. Dopo una camera di consiglio durata circa quattro ore, la Sesta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Stefano Agrò, ha ‘promossò la solidità degli indizi raccolti dai pm antimafia di Roma e ha respinto il tentativo, portato avanti dagli avvocati, di far ‘derubricarè le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso in quelle di associazione a delinquere semplice. Per la conferma del quadro accusatorio si era espresso, nella sua requisitoria, il sostituto procuratore generale della Cassazione Luigi Riello che, nel corso dell’udienza celebratasi a porte chiuse, aveva chiesto il rigetto dei ricorsi o la loro inammissibilità. In sostanza, la Cassazione ha avvalorato il lavoro degli inquirenti che hanno individuato una ‘cupolà di soggetti che, con la forza intimidatrice e con la corruzione a ‘libro pagà, avevano messo le mani sul sistema degli appalti capitolini del settore sociale, come quello dell’assistenza agli immigrati, ma anche su quello dell’emergenza rifiuti. «Ho contestato soprattutto l’accusa di associazione mafiosa – ha detto l’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Buzzi – perchè dal materiale di indagine non risulta un solo atto del mio assistito, o di Carminati, che sia stato compiuto con intimidazione. Possiamo parlare della corruzione, cosa che comunque è da provare e per la quale ci sono delle spiegazioni, ma non di mafia». «Il Pg Riello invece – ha proseguito Diddi – ha condiviso completamente i contenuti dell’ordinanza cautelare e ha ritenuto esistenti gli indizi dell’associazione mafiosa». L’avvocato, come gli altri legali, aveva l’obiettivo dichiarato di «smontare» l’accusa associativa. Un obiettivo che se raggiunto avrebbe consentito, agli indagati in carcere, per prima cosa di essere detenuti a Roma, vicino alle famiglie e ai difensori, e, in vista del processo, di ottenere – successivamente – un rinvio a giudizio per un’accusa meno grave e che contempla condanne più leggere. Tra circa un mese saranno depositate le motivazioni del verdetto della Suprema Corte.

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