Mafia Roma, confiscati a Diotallevi beni per 25 milioni di euro
Un duro colpo è stato inferto dalla magistratura romana al boss Ernesto Diotallevi, indagato dalla procura per associazione a delinquere di stampo mafioso nel quadro degli accertamenti su Mafia Capitale in quanto ritenuto, insieme con Giovanni De Carlo, il referente romano di Cosa Nostra. Quote societarie, immobili a Roma (compresa la prestigiosa casa di Fontana di Trevi), Olbia e Corsica, un hotel a Fiuggi, conti correnti ed opere d’arte, per un ammontare di 25-30 milioni di euro, a lui riconducibili e sequestrati in varie tranche, sono stati confiscati dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma. A sollecitare il provvedimento sono stati i pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini che, sotto la direzione del procuratore Giuseppe Pignatone, indagano sulla cosiddetta Mafia Capitale. Il patrimonio, di imponente valore, accumulato dal boss e detenuto, per la procura, «prevalentemente in modo indiretto tramite i suoi familiari e terzi compiacenti» è la «sintesi di un’attività illecita». Per gli inquirenti di piazzale Clodio «le risorse finanziarie di Diotallevi -si legge nel decreto del tribunale- provengono, tra l’altro, da: Pippo Calò e da appartenenti a Cosa Nostra, essendo risultato strettamente collegato a Calò ed a Lorenzo Di Gesù; speculazioni immobiliari in Costa Smeralda, essendo emerso che un villaggio turistico (Ira ndr) fu realizzato negli anni settanta con capitali mafiosi; Danilo Abbruciati (Banda Magliana ndr) del quale riciclava i proventi criminali». Esclusi dalla confisca, con revoca del sequestro, si legge nel provvedimento di 110 pagine firmato dal collegio presieduto da Anna Criscuolo, il 50 percento della società «Lampedusa srl», alcuni quadri, una vettura, il 49% del patrimonio aziendale della «Gamma Re srl» e una decina di conti correnti con importi intorno ai 1.000 euro. Il tribunale ha anche rigettato i ricorsi di Banca Carim, Banca Sella e Banca Tercas, in relazione a contratti di mutuo e di apertura di credito, garantiti da ipoteca sugli immobili, stipulati in favore dei fratelli Diotallevi e di Carolina Lucarini, moglie di Ernesto, ritenendo che questi siano stati concessi in malafede. La sentenza emessa dal tribunale di Roma, impugnabile da Diotallevi presso la sezione di Misure di Prevenzione della Corte di Appello, apre la strada ad analoghe iniziative già sollecitate dalla procura per altri indagati nell’inchiesta su Mafia Capitale. Tra questi Massimo Carminati, accusato di essere il «dominus» dell’associazione per delinquere di stampo mafioso.
Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login