Shalabayeva, Alma: "Fu rapimento, non archiviare" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Shalabayeva, Alma: “Fu rapimento, non archiviare”

Quello che avvenne il 31 maggio del 2013 «fu un rapimento» ma «adesso voglio chiarezza e giustizia». Alma Shalabayeva, moglie di Muktar Ablyazov, leader dell’opposizione kazaka, è tornata a vivere nella villa di Casal Palocco, a Roma, da dove due anni fa venne espulsa assieme alla figlia di sei anni e grida la sua «rabbia per quanto ha dovuto subire in questi anni». Una complessa vicenda diplomatica che ha avuto strascichi giudiziari. Nei giorni scorsi la Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta e ora a rischiare il processo sono cinque poliziotti che lavoravano all’ufficio immigrazione accusati di falso ideologico e omissione di atti d’ufficio. Contestualmente il pm Eugenio Albamonte ha chiesto l’archiviazione per l’ambasciatore a Roma del Kazakistan Andrian Yelemessov, il consigliere degli affari politici Nurlan Khassen e l’addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov che erano indagati per sequestro di persona. Su questo punto la moglie di Ablyazov chiede che non si fermi l’attività di indagine e, tramite i suoi avvocati, ha depositato negli uffici di piazzale Clodio una opposizione all’archiviazione. Una richiesta ribadita anche dagli altri due figli della Shalabayeva, Madina e Madar. «Siamo sorpresi -ha aggiunto la figlia – che i diplomatici kazaki siano ancora in libertà e che nei loro confronti si chieda l’archiviazione. Loro sono i mandanti del rapimento di mia madre e di mia sorella. Sono stati loro a manipolare la polizia italiana, sono stati colti con le mani nella marmellata ma non sono stati formulati capi d’accusa nei loro confronti». Una polemica nei confronti degli inquirenti italiani ribadita anche dall’avvocato Peter Sahlas che ha affermato che negli atti dell’indagine della Procura «non è stato mai utilizzato il termine rapimento. In questa indagine c’è stato un tentativo di mettere un toppa ma siamo rimasti molto delusi, il popolo italiano merita di più dalla sua giustizia». Duro il commento anche dell’avvocato Astolfo Di Amato, legale della prima figlia di Alma, secondo il quale «sulla posizione dei tre diplomatici kazaki la Procura di Roma non ha fatto nulla, nessuna indagine. Ora chiediamo al gip di non archiviare il procedimento, serve fare chiarezza sulla condotta di queste persone». Lo ha detto l’avvocato Astolfo Di Amato, difensore di Madina, la primogenita di Alma Shalabayeva, nel corso di una conferenza stampa. «Abbiamo prove – ha proseguito il penalista – che prima ancora che il giudice decidesse l’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva e della figlia fosse stato prenotato e pagato un aereo privato per riportare la donna in Kazakistan». Di Amato ha poi sottolineato che «il passaporto del Centro Africa che aveva Alma era regolare. Abbiamo elementi di prova che circostanziano come il documento fosse in regola. Il Kazakistan ha fatto pressioni affinchè venissero fatte dichiarazioni contrarie alla validità del passaporto». E per Alma Shalabayeva, «i pm di Roma hanno creduto ai documenti del Kazakistan, un paese in mano ad una dittatura, dove gli oppositori vengono ridotti al silenzio. In Francia si stanno facendo indagini, chiedo a tutti di interrogarsi sul livello di giustizia che c’è in Kazakistan».

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