Incidente via Battistini, dal campo chiedono perdono: "Paghi chi ha sbagliato". Ma la periferia si scopre razzista | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Incidente via Battistini, dal campo rom chiedono perdono: “Paghi chi ha sbagliato”. Ma la periferia si scopre razzista

«Poteva essere chiunque di noi a morire. Una strage assurda». In tanti ripetono questa frase, scuotendo la testa davanti ai mazzi fiori lasciati in ricordo della donna filippina falciata ieri da un’auto spinta a tutta velocità nelle vie della Capitale. I residenti del quartiere Boccea, all’indomani dell’incidente stradale avvenuto nelle ‘lorò strade, sono esasperati e non perdonano quella che non esitano a definire una vera e propria «strage». Un nervosismo sfociato anche in alcuni adesivi con su scritto ‘Investiamo gli zingarì. E la periferia della capitale si risveglia razzista. Abitano a pochi chilometri di distanza dal campo della Monachina dove vivevano i tre nomadi protagonisti dell’ inseguimento di ieri. E da tempo, come romani, si sentono anche «abbandonati»: «Sangue, corpi per terra, auto a tutta velocità. Ieri sembrava stare in un film horror» raccontano ancora sconvolti dalla tragedia che hanno visto proprio sotto casa loro: sirene, urla, gente «volata in aria dopo l’urto», persone insanguinate per terra. «Ho visto una macchina che si portava sopra una persona poi caduta poche centinaia di metri più avanti. Vicino alla fermata del bus invece c’era il corpo di una donna», dice il titolare di un bar vicino al luogo dell’ incidente. Alla fermata metro Battistini qualcuno oggi ha attaccato degli adesivi razzisti: ‘Zingaro ladro assassinò, ‘Investiamo i zingari per stradà c’è scritto sopra. E nel pomeriggio i residenti sono scesi in piazza: «Basta non ce la facciamo più – dice uno di loro – O uno si integra o se ne va. Non devono andare a scavare nell’immondizia. Non siamo razzisti ma serve una vera integrazione». E tra i commenti più duri «Riprendiamoci Roma. Roma è nostra»; i campi rom? «Damoje foco». In piazza anche esponenti di ‘Noi con Salvinì – i ‘leghistì hanno srotolato lo striscione ‘Basta violenze rom. Marino vattenè – Ncd e Fratelli d’Italia che ha avviato una raccolta firme con l’obiettivo di smantellare tutti i campi rom della Capitale. E nel quartiere il dibattito si anima. «Era mejo Alemanno – sbotta un’anziana – Ma ‘ndo sta ‘sto sindaco? Vuole dargli anche le case mentre qui siamo abbandonati». Alla fermata del bus, davanti ai mazzi di fiori lasciati in ricordo della vittima, va in scena un battibecco tra una signora e un gruppetto di ragazzi. «I rom e gli zingari? Devono essere buttati fuori dall’ Italia – tuona la donna – E se ci fosse stata tua madre qui per terra? Questa è feccia che non ha voglia di integrarsi. A 17 anni si va a scuola non in auto a 180 all’ora. Qui c’è bisogno di legalità. Non di altro». «Vabbè signora qui così però torniamo al medioevo» chiosa uno dei giovani prima di salire sul bus. Intanto alla fermata è stato lasciato un cartello per il sindaco Marino. «I tuoi cari amici zingari portali a casa tua» la frase scritta. E diversi passando di lì e leggendolo commentano: «Hanno fatto bene a scriverlo. Sono d’accordo». Altri invece aggiungono: «Non è tutta colpa di Marino. I problemi sono sempre gli stessi ma nessuno li risolve».- «Chiediamo perdono, chi ha sbagliato è giusto che paghi, ma non attaccate tutti per gli errori commessi da altri». Nel campo della Monachina, nel quadrante occidentale della Capitale, si respira aria di tensione dopo il terribile incidente stradale costato la vita ad una filippina di 44 anni ed il ferimento di altre otto persone travolte dall’auto lanciata a folle corsa per sfuggire all’alt delle forze dell’ordine. Qui, tra le baracche e le roulotte sgangherate, vivono anche i due minori che ieri sera erano a bordo dell’auto killer. Lei, 17 anni, è finita in manette, lui, 16 anni, è ricercato. Minorenni e già genitori di un bimbo di 10 mesi. Una coppia come tante nel campo che sorge all’imbocco del cavalcavia sull’Aurelia, tra degrado e sacchi dei rifiuti lasciati per strada. Un mondo fatto di espedienti e degrado. «Ci sentiamo abbandonati, discriminati, lasciati soli», dicono quelli che tra mille difficoltà ci abitano. Quella dei familiari della giovanissima coppia è una delle pochissime casette in cemento in un’area dove sono accampate in roulotte e baracche centinaia di persone, in gran parte minorenni. «Uscivano a fare qualche passeggiata – raccontano i familiari – e la sera ogni tanto andavano in discoteca». La loro casa oggi è vuota, sul divano è rimasto solo un peluche di Winnie Pooh, mentre il loro figlio è stato portato dalla nonna. Le pareti del monolocale di fortuna sono tutte rosa, tempestate da figurine di farfalle. Un modo per ingentilire la povertà. «Lei studia dalle suore del quartiere per terminare la terza media, mentre lui si arrabatta ai mercati generali per qualche euro – racconta la famiglia – altrimenti rovistava nei cassonetti in cerca di qualcosa che possa tornarci utile». Oggi sulla giovanissima coppia pesa un’accusa gravissima, quella di omicidio volontario. La madre del ragazzo si è chiusa nella roulotte all’ingresso del campo, mentre la sorella non smette di girare tra le baracche in un pianto interrotto. Decine di bambini scorazzano nel degrado, tra cocci e detriti, tra una partita a pallone ed un giro in bicicletta. Biciclette sgangherate, come tutto qui. E gli unici spensierati sembrano proprio i bambini. «Abbiamo paura delle ritorsioni, abbiamo paura delle minacce, dei razzisti. Cosa potrà succederci ora?», dice la sorella del ragazzo ricercato che poi lancia un appello al fratello: «Torna a casa e andiamo a costituirci, ti prego».

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