Mafia capitale, la teoria di Buzzi: "La mucca deve mangiare per essere munta" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Mafia capitale, la teoria di Buzzi: “La mucca deve mangiare per essere munta”. Politici a libro paga, Gramazio a servizio del clan

– L’immagine simbolo di questo secondo capitolo della maxi inchiesta su Mafia Capitale la ‘regalà Salvatore Buzzi. «La mucca deve mangiare per essere munta»: una metafora colorita che però restituisce bene l’immagine del sistema che il clan ‘capitolinò aveva creato per poter portare avanti i suoi affari, in primis quello sulla accoglienza dei migranti. A pronunciare queste parole, in un’intercettazione, non poteva che essere il ras delle cooperative e, forse, il vero capo ‘politicò del gruppo criminale su cui stanno indagando i magistrati di piazzale Clodio. «’Guarda che ha detto Buzzi che qui la mucca l’amo munta tantò», afferma l’ex ‘detenuto modellò parlando al telefono con Franco Figurelli, componente della segreteria dell’ex presidente dell’Assemblea Capitolina Mirko Coratti (Pd), entrambi per i pm a libro paga di Mafia Capitale. Alle parole di Buzzi, Figurelli risponde affermando che «questa metafora io gliela dico sempre al mio amico, mi dice: ‘Non mi rompere il ca.. perchè se questa è la metafora lui ha già fatto, per cui non mi romperè». Buzzi, senza scomporsi, ribatte: «Aho, però diglielo». Figurelli: «Allora, ieri me c’ha mannato aff… per avè detto sta cosa, tu non hai capito, me c’ha mannato aff…, dice: ‘Non ti può rispondere così l’amico Salvatore perchè noi già fattò». Poche righe di intercettazione che però rendono lampante il tipo di rapporto che il clan stabiliva con i suoi interlocutori istituzionali. Molti dei quali, secondo gli inquirenti, erano foraggiati con veri e propri stipendi ‘parallelì grazie ai quali Buzzi e soci riuscivano ad ottenere voti in commissioni, via libera per potere ramificare il loro giro d’affari che negli ultimi anni aveva registrato una impennata alla voce «entrate». Dalle carte dell’inchiesta emerge il ‘modus’ operandi nel clan che viveva sulla diarchia Carminati-Buzzi. In un’altra intercettazione l’ex Nar fornisce una sorta di vademecum su come il gruppo doveva interfacciarsi con i rappresentanti della ‘cosa pubblicà. Il funzionario pubblico «o se caccia o se compra, se si compra è meglio». La regola Carminati mentre parla con Buzzi e con il suo collaboratore Claudio Caldarelli su come corrompere Gaetano Altamura, direttore del dipartimento ambiente del Campidoglio, finito oggi agli arresti domiciliari. Buzzi si rivolge al ‘sociò affermando che ‘Altamura piglia i soldi e quindi la strada non è la politica…però se lui piglia i soldi andiamocelo a comprà, no?«. Una proposta su cui arriva la chiosa di Carminati. »Certo, o se caccia o se compra?se si compra è meglio«, sentenzia il presunto boss.

Tutti a libro paga, tutti a bordo di «un taxi su cui sali e non scendi più». Persone, amministratori locali, di «proprietà» del clan che venivano foraggiate, stipendiate in cambio di fedeltà assoluta agli obiettivi di business dell’organizzazione. Il secondo passo di Mafia Capitale restituisce un affresco della corruzione e della capacità che il gruppo di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi aveva di ‘penetrarè la cosa pubblica. Consiglieri comunali, alti dirigenti di Comune e Regione, tutte figure apicali e strategiche che la mafia del Tevere piegava al suo volere non con la minaccia della lupara ma con un fiume ininterrotto di denaro.«I consiglieri comunali devono stare ai nostri ordini». Dice Buzzi al telefono con Carminati. «Ma perchè dovrei stare agli ordini tuoi? Te pago!», replica Carminati dall’altro capo della cornetta, intercettato dai Ros. Poche regole chiare da seguire. Il potere di sapere gestire il «parco uomini», un pò come una squadra di calcio. Mirko Coratti, dal 2013 e fino a dicembre scorso presidente Pd del Consiglio comunale di Roma, era stato ribattezzato ‘Balotellì dal ras delle coop Salvatore Buzzi, perchè non faceva «gioco di squadra», dice in telefonate intercettate. Coratti che pure, secondo l’accusa, era a libro paga di Mafia Capitale e che aveva ricevuto 10 mila euro da Buzzi solo per concedergli un incontro. «Me sò comprato Coratti, gioca con noi», disse poi il presunto braccio destro di Massimo Carminati. Ma Coratti, arrestato oggi, scrive il gip, «aveva pretese continue, tra cui l’assunzione di persone nelle coop di Buzzi». Il clan aveva una sorta di tariffario per ogni ‘tassellò da oliare. I pm hanno accertato che il clan garantiva mille euro al mese e un posto di lavoro per un conoscente al consigliere comunale Massimo Caprari del Centro democratico, della maggioranza del sindaco Ignazio Marino, e finito oggi in carcere. Il consigliere, in cambio, avrebbe assicurato all’organizzazione «il suo voto favorevole al riconoscimento del debito fuori bilancio per l’anno 2014». In un colloquio intercettato tra Buzzi e il vicepresidente della cooperativa «La Cascina», Francesco Ferrara, il braccio destro di Carminati afferma: «te l’ho detto, Caprari è venuto da me: voleva tre posti di lavoro». Buzzi, scrive il gip nell’ordinanza, riferiva a Ferrara che, per accogliere le sue richieste, «Caprari si era rivolto a lui chiedendogli in cambio l’assunzione di tre persone, che poi era stata ridotta a una sola al che il rappresentante de La Cascina replicava dicendo che un posto di lavoro equivaleva a circa 30.000 euro l’anno». Il gruppo criminale allungava le sue ramificazioni anche ad Ostia e l’uomo da ‘mungerè era l’ex presidente del X municipio, Andrea Tassone, da oggi ai domiciliari. «È nostro, è mio», dice Buzzi, ancora intercettato dai carabinieri. Nell’ordinanza il gip scrive che Tassone avrebbe ricevuto indirettamente denaro in cambio dell’assegnazione di un appalto. «Le indagini svolte -si legge nelle carte- hanno consentito di verificare l’esistenza, nel X dipartimento, di decisori pubblici remunerati». In questo contesto «il primo di tali fatti riguarda l’erogazione di somme di denaro verso Tassone, presidente del X municipio, attraverso il suo uomo di fiducia, Paolo Solvi, per remunerare assegnazioni di lavori per la potatura delle piante e per la pulizia delle spiagge a Ostia».

Cenavano ‘Dar Bruttonè a via Taranto Massimo Carminati e Luca Gramazio. Tavolini uno attaccato all’altro, pasta alla gricia e microspie dei carabinieri nella trattoria del quartiere San Giovanni a Roma. Il presunto boss di Mafia Capitale, l’ex terrorista dei Nar e protagonista di mille trame poteva contare sul trentenne ‘enfant prodigè della destra romana, capogruppo Pdl in Campidoglio con Gianni Alemanno e poi di Forza Italia in Regione, figlio di Domenico «Il pinguino» esponente storico della destra dura romana. Oltre 10 mila preferenze alle regionali del 2013, arrestato oggi per associazione mafiosa e corruzione, Luca Gramazio è definito dal Gip «capitale istituzionale del clan», personaggio di «straordinaria pericolosità». Il politico di riferimento del clan, che lo avrebbe pagato decine di migliaia di euro. Indagato a dicembre nella prima ondata si era dimesso da capogruppo. «Per dedicarmi con tutto il mio impegno alla difesa della mia onorabilità e della mia storia politica – aveva spiegato Gramazio – caratterizzata da coerenza, impegno sociale e lealtà. Carminati? Vedo milioni di persone». Era rimasto consigliere, ma con un profilo molto più basso, inusuale per il suo carattere, raccontano i colleghi. A cena ‘Dar Bruttonè il 23 luglio 2013 c’era anche il padre di Luca, Domenico Gramazio, ex parlamentare di Msi, An e Pdl, noto per avere picconato i campi rom regolari voluti dal’allora sindaco Rutelli ben prima delle ruspe di Salvini. Ma famoso anche per aver pasteggiato a mortadella e champagne in Senato alla caduta del governo di Romano Prodi nel 2008. Un altro incontro fra i tre era avvenuto il 19 novembre 2012 al Bar Valentini di piazza Tuscolo, sempre a San Giovanni, presenti il ras delle coop Salvatore Buzzi e il tessitore di relazioni politico manageriali Fabrizio Testa, sodali di Carminati. Luca Gramazio, 34 anni, era il principale referente politico dell’organizzazione diretta dal ‘Cecatò, secondo la procura di Roma. Avrebbe ricevuto almeno 98 mila euro in contanti in tre tranche da Mafia Capitale; inoltre 15 mila euro con bonifico per finanziamento al suo comitato; e ancora l’assunzione di 10 persone e perfino la promessa di pagamento di un debito per spese di tipografia. Tutte «utilità» per «porre le sue funzioni istituzionali al servizio» della banda. Interveniva per far stanziare un milione di euro per le piste ciclabili o prorogare dei lavori sul verde pubblico alle cooperative sociali di Buzzi. Per il debito fuori bilancio per l’emergenza dei minori non accompagnati dal Nord-Africa o una volta approdato alla Regione per spostare un milione di euro destinati al Municipio di Ostia. C’era un vero rapporto di amicizia tra i Gramazio e Carminati. Ma anche un rapporto di affari illeciti, per la Procura: Luca Gramazio stava nel ‘Mondo di Soprà della teoria di Carminati e da lì lavorava per Mafia Capitale.

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