Restauri, il giallo del Raffaello di Civitavecchia | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Restauri, il giallo del Raffaello di Civitavecchia

– Il disegno è lo stesso, le pitture opera di una mano esperta e coeva, forse quella dell’incisore Ugo da Carpi, che lavorò a Roma nella bottega di Raffaello. Eppure qualcosa non torna. Con le ripuliture si scopre sempre più complessa e intrigante la storia del ‘Raffaellò ritrovato a Civitavecchia, replica della Stanza di Eliodoro venuta alla luce per caso, quarant’anni fa, nella camera da letto di uno sbalordito carabiniere. E mentre si attendono i risultati dell’indagine diagnostica sui materiali affidata agli esperti dell’Università della Tuscia, c’è chi azzarda l’ipotesi che non si tratti di una copia, bensì addirittura di un bozzetto fatto preparare a tempera da Raffaello a un collaboratore per mostrarlo al committente Giulio II, che nella cittadina laziale, allora piazzaforte marittima dello Stato Pontificio, tornava ogni anno per seguire i lavori della Fortezza progettata dal Bramante. Rimasto inedito fino al 2009 per vicende che hanno dell’incredibile, il ritrovamento, supportato dalla testimonianza della grande esperta del pittore urbinate, Nicole Dacos, aveva portato alla luce un caso già di fatto unico, perchè non esistono altre copie antiche delle Stanze che Raffaello eseguì in Vaticano, tra il 1511 ed il 1514, per l’appartamento di Giulio II. Ora, a sei anni da quella notizia anticipata dall’ANSA, i lavori di ripulitura eseguiti nella stanza hanno riportato alla luce pitture su tutte e quattro le pareti. Le quattro scene presenti in Vaticano ci sono tutte, ma sono venute fuori anche le differenze rispetto all’originale, dalla più eclatante, con l’inversione di due storie (in Vaticano la Cacciata di Eliodoro dal Tempio precede a sinistra la Messa di Bolsena, a Civitavecchia è il contrario) fino ai tanti particolari, come i colori diversi di molti vestiti, i santi Pietro e Paolo che nella pittura di Civitavecchia non hanno in testa l’aureola, il volto di San Leone Magno, che in Vaticano ha le fattezze di Leone X mentre qui sembra avere i tratti di Giulio II. E infine proprio la composizione della scena dedicata alla Messa di Bolsena, con la grande finestra che in Vaticano è spostata sulla sinistra mentre a Civitavecchia è centrata e simmetrica e soprattutto più piccola. La Dacos, recentemente scomparsa, non aveva dubbi nè sull’autore del dipinto, che per lei era l’incisore Ugo Da Carpi, nè sull’epoca in cui sarebbe stato realizzato, «prima del 1527, l’anno del Sacco di Roma, quando Ugo da Carpi seguì il Parmigianino a Bologna». Per la studiosa (che aveva potuto visionare tutti i dipinti a metà degli anni Ottanta prima che il proprietario li ricoprisse) si trattava di un ritrovamento di enorme importanza, ma comunque di una replica dell’originale. Resta però da capire chi può essere stato il committente e perchè sarebbe stato chiesto all’artista di decorare una stanza che non si trovava in un palazzo nobiliare o in un luogo comunque di pregio, bensì in un locale senza finestre dentro a una torre di servizio, forse destinata a deposito di granaglie. Tant’è. In attesa di diagnosi e finanziamenti per proseguire con il restauro, dei dipinti di Civitavecchia si continua a dibattere. In prima fila Alvaro Ranzoni, il giornalista che da anni si batte per trovare attenzione per l’opera. È lui, a lungo inviato speciale di Panorama, a lanciare l’ipotesi che si tratti di un bozzetto fatto realizzare da Raffaello per ottenere l’approvazione di Giulio II. Ipotesi affascinante anche se azzardata, visto che gli esperti concordano sul fatto che non si usava eseguire bozzetti a grandezza naturale prima degli originali. Ranzoni però è convinto: «Impossibile non collegare i dipinti alla presenza di Giulio II negli stessi tempi e luoghi. Cento metri a ovest, il papa risiedeva nell’antica Rocca; duecento metri a est andava a controllare i lavori di costruzione della fortezza sul porto. Questo mentre a Roma Raffaello gli stava affrescando l’appartamento personale». Per lui, anzi, la tesi del bozzetto giustificherebbe anche le differenze tra le due versioni. E la diversa organizzazione dello spazio nella Messa di Bolsena: «È possibile che il bozzetto di Civitavecchia servisse a suggerire al papa la necessità di allargare la finestra del Vaticano per rendere la composizione delle figure armoniosa come in effetti è oggi».

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