Povertà, la Caritas lancia l'sos per tutelare chi perde il lavoro | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Povertà, la Caritas lancia l’sos per tutelare chi perde il lavoro

«Giorni fa un nostro sacerdote mi ha telefonato, quasi disperato, per segnalarmi il caso di un marito e una moglie che, contemporaneamente, avevano tutti e due perso il lavoro e all’improvviso si trovavano in una situazione senza uscita. Sono vicende che spesso neanche arrivano alle nostre strutture: è una problematica nascosta, sorda, straziante, e la tocchiamo con mano tutti i giorni». Mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, parla con preoccupazione della situazione dei tanti nuovi poveri, in misura sempre crescente italiani, che si rivolgono ai centri d’aiuto per avere cibo, accoglienza e altre forme di sostegno: un fenomeno che – dice con autentico allarme -, a causa della perdita del lavoro, non interessa più solo i singoli, ma interi nuclei familiari. «Se il nostro compito è stare vicino ai poveri – spiega mons. Feroci nel giorno in cui l’Istat ha confermato che sono oltre 4 milioni i connazionali in povertà assoluta -, è normale che offriamo aiuto a chi è per la strada. Ma quello che ci colpisce è che oggi a ricorrere a noi non sono solo gli immigrati o i senzatetto, ma sempre più italiani che perdono il lavoro». Il quadro che disegnano le mail, le telefonate, le continue richieste ai centri Caritas è quello di persone che, da un giorno all’altro, passano «da una vita normale a condizioni di grandissima difficoltà, con conseguente dissolvimento dei rapporti familiari per l’incapacità di provvedere ai bisogni. Questo lo tocchiamo con mano continuamente. E ci fa male». Mons. Feroci sottolinea anche che «non abbiamo le risposte giuste, perchè si tratta di problemi ben più grandi che dare da mangiare a un ‘barbonè. Qui bisogna anche pagare le bollette o provvedere ai bisogni di interi nuclei sfrattati, uomo, donna, figli. Non si ha la capacità di programmare, nè strumenti per dare risposte: una famiglia sfrattata non può mettersi in coda per avere le case popolari, nel frattempo dove va? Non possiamo mica metterla nei dormitori». Feroci non risparmia un monito alle strutture pubbliche, «perchè dinanzi a un quadro così fosco occorrerebbe anche pensare al domani, investire risorse, invece c’è una grave carenza di programmazione». Il polso della situazione a Roma lo dà anche Alberto Farneti, responsabile di mense e centri accoglienza della Caritas diocesana, che conferma come «negli ultimi anni il disagio degli italiani sia aumentato: sia per l’accoglienza notturna sia per le mense la percentuale degli italiani è cresciuta sempre di più, fino a raggiungere anche il 50 per cento, mentre fino a qualche anno fa avevamo circa l’80 per di stranieri». E il cambiamento consiste anche nel fatto che «prima arrivavano persone con un disagio strutturato, ora nostri connazionali che fino al giorno prima conducevano una vita normale, con un lavoro, una casa. Questo meccanismo di caduta è molto più frequente, e non ci sono reti di protezione nè ammortizzatori. Il tutto avviene in modo molto più repentino che in passato». Per Farneti influisce l’idea stessa di una crisi più forte che mai, tanto che alla perdita del lavoro si è ridotto il tempo entro cui si va alla Caritas a chiedere cibo. «C’è una rincorsa a colmare un vuoto che si è creato». Si è abbassata anche l’età degli ‘utentì Caritas, dove oggi non si incontrano solo ultra-cinquantenni, ma è facile trovare «dei quarantenni, magari ex impiegati, piccole partite Iva o piccoli imprenditori». Una storia che ha colpito molto Farneti è quella di un tipografo la cui azienda ha dovuto chiudere per un caso fortuito (si è allagata) e non è riuscita più a risollevarsi a causa del sopraggiungere della crisi. «Questa persona non ha più lavorato – dice -. Segno che oggi nel lavoro, anche in caso di disgrazia, sembra non esserci via di scampo. E ciò è davvero drammatico».

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