Scattone: "Non sono più sereno, lascio la cattedra". La madre di Marta Russo: "Difficile dire sì al perdono" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Scattone: “Non sono più sereno, lascio la cattedra”. La madre di Marta Russo: “Difficile dire sì al perdono”

«Se la coscienza mi dice di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all’incarico»: a rivelare il suo stato d’animo e le sue decisioni, parlando con l’ANSA, è Giovanni Scattone, nome noto alle cronache perchè legato all’omicidio di Marta Russo, la studentessa dell’Università La Sapienza che nel ’97 perse la vita a 22 anni dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile mentre camminava nei vialetti dell’Università. Per quel delitto Giovanni Scattone fu condannato il 15 dicembre del 2003 con sentenza definitiva dalla Cassazione a cinque anni e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo. Nei giorni scorsi a Scattone, che ha scontato la pena, è stata assegnata una cattedra di psicologia all’Istituto professionale Einaudi di Roma. «Con grande dolore ed amarezza – dice Scattone, assistito dall’avvocato Giancarlo Viglione – ho preso atto delle polemiche che hanno accompagnato la mia stabilizzazione nella scuola con conseguente insegnamento nell’oramai imminente anno scolastico. Il dolore e l’amarezza risiedono nel constatare che, di fatto, mi si vuole impedire di avere una vita da cittadino ‘normalè ». «La mia innocenza, sempre gridata – aggiunge – è pari al rispetto nei confronti del dolore della famiglia Russo. Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. Ed allora sarebbe stato da Paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza». «Ho sempre ritenuto – spiega Scattone – che per essere un buon insegnante si debba anzitutto essere persona serena. Oggi, in ragione di queste polemiche, non ho più la serenità che mi ha contraddistinto nei dieci anni di insegnamento quale supplente: anni caratterizzati da una mia grande soddisfazione anche e soprattutto legata al costruttivo rapporto instauratosi con alunni e genitori. Ed allora – annuncia – se la coscienza mi dice, come mi ha sempre detto, di poter insegnare, la mancanza di serenità mi induce a rinunciare all’incarico. Così questo Paese mi toglie anche il fondamentale diritto al lavoro. Dopo la tragedia che mi ha colpito, solo la speranza mi ha dato la forza di andare avanti. Anche oggi – conclude – vivrò con la speranza che un giorno la parte sana di questo Paese, che pure c’è ed è nei miei tanti ex alunni che in questi giorni mi sono stati vicini e nella gente comune che mi ha manifestato tanta solidarietà, possa divenire maggioranza». Soddisfatti di questo epilogo, «soprattutto per i ragazzi, è stata fatta giustizia», si dicono i genitori di Marta Russo, Aureliana e Donato. «Sono contenta per gli studenti – sottolinea la donna – che non avranno come insegnante una persona così inadatta ad essere educatore». «Il temporaneo passo indietro di Giovanni Scattone non ci rende felici per una sorta di vendetta che non ci restituirebbe mai Marta, ma perchè i ragazzi non impareranno da chi per primo non ha imparato a prendersi le proprie responsabilità di fronte allo Stato, a noi e all’intera opinione pubblica», proseguono i genitori della studentessa uccisa. Il senatore del Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione per i Diritti Umani, critica «i forcaioli»: «la »rieducazione« del condannato prevista dall’articolo 27 della Costituzione è, per costoro, carta straccia: e si preferisce che – a distanza di 18 anni – i condannati si ritrovino più incattiviti e criminali che mai, predisposti alla recidiva e alla devianza sociale. Ci ripensi Scattone: non solo per lui e per il suo personale destino, ma per la buona salute dello stato di diritto e per la tutela dei principi sui quali si fonda il nostro ordinamento». Certo è che per Scattone il ministero dovrà trovare una forma di collocamento, magari non a contatto con gli studenti, dal momento che ha insegnato per dieci anni da precario e la condanna, ormai scontata, non ha peraltro previsto l’esclusione dai pubblici uffici.«È stata fatta giustizia. Sono soddisfatta non per un sentimento di vendetta, ma per i ragazzi. Non credo che Scattone chiederà mai perdono, ma anche qualora lo facesse non so nemmeno se lo accetterei». Il telefono di mamma Aureliana non smette di suonare. In tanti la cercano per avere un commento sulla decisione di Giovanni Scattone – condannato per l’omicidio della figlia Marta Russo – di lasciare la cattedra di psicologia all’istituto professionale Einaudi di Roma. «Abbiamo vinto la nostra piccola battaglia», continua la signora Aureliana la quale, oggi più che mai, ribadisce che «un assassino non può fare l’educatore». Eppure nella sentenza di terzo grado, la Cassazione revocò l’interdizione a Scattone che, espiata la pena, proseguì la carriera di insegnante. «Prima che nasca un nuovo martire tra i tanti colpevoli del nostro paese che cercano il consenso popolare – sottolineano i genitori di Marta Russo, uccisa da un colpo di pistola nella primavera del 1997 mentre passeggiava nei cortili dell’università La Sapienza -, vogliamo sottolineare un punto. Crediamo in assoluto e non solo nel caso specifico che un assassino, uno che continua a negare una colpevolezza appurata da tre gradi di giudizio, non possa educare». «Il temporaneo passo indietro di Giovanni Scattone – sottolineano Aureliana e Donato Russo – non ci rende felici per una sorta di vendetta che non ci restituirebbe mai Marta, ma perchè i ragazzi non impareranno da chi per primo non ha imparato a prendersi le proprie responsabilità di fronte allo Stato, a noi e all’intera opinione pubblica. Detto ciò, non saremo noi a fermare Giovanni Scattone. Nessuna negazione del diritto al lavoro. Faccia come crede. È un uomo libero per la legge. Anche se non lo sarà mai per la propria coscienza».

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login