Le Ariette aprono la stagione del Teatro Argentina a tavola | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Le Ariette aprono la stagione del Teatro Argentina a tavola

– Chi scoprisse oggi il «Teatro da mangiare?» delle Ariette di Stefano Pasquini e Paola Berselli con Maurizio Ferraresi potrebbe pensare sia qualcosa legato alla attuale moda impestante del cibo e degli chef, mentre è tutt’altro, esattamente l’opposto di quella filosofia esibizionista e ha una storia ormai di 15 anni. Nato nel luglio 2000 a Volterrateatro, grazie a un invito di Armando Punzo ebbero, la sera della prima, Luca Ronconi e, per caso, una giornalista di Le Monde che li lanciò in francia al loro tavolo-palcoscenico, oggi montato su quello del Teatro Argentina di cui hanno aperto la nuova stagione. A Roma si replica sino a domenica sera, due spettacoli al giorno, poi a dicembre avranno una tournee in Francia, a Marzo saranno a Bologna, poi torneranno nella capitale, al Teatro Quarticciolo (1-3 aprile) con «Teatro naturale?» e all’India a fine maggio con «Dopo Pasolini» e la presentazione del film «Sul tetto del mondo». Il lavoro di questo tre attori artefici cuochi, che offrono una cena o un pranzo agli spettatori seduti attorno a un grande tavolo apparecchiato, proponendo durante la serata vari interventi teatrali sul filo dell’autobiografia, punta al cuore delle cose, parte dalle origini, da quelle del cibo che, a cominciare dalla farina per le tagliatelle, è fatto tutto con quanto da loro stessi prodotto nel podere delle Ariette in cui abittano e lavorano sull’Appennino bolognese, a interventi sulla famiglia, con al centro non a caso quello intensissimo e poetico sulla madre, in forma di una lettera, della vitalissima, travolgente, coinvolgente attrice che è la Berselli, sino ai chicchi di grano deposti simbolicamente sul tavolo. Tutto con una certa autoironia, se poi, presentando in veste da Clown con tanto di naso rosso e bombetta, un menù, biodinamico e biologico tra erbette e tisane, lo commentano in modo comico negativo, quale moda deleteria se seguita alla lettera. Intanto il pubblico, che applaude più volte ma resta silenzioso davanti agli interventi più profondi e intimi, mangia antipasti di verdure, affettati prodotti dal padre di Pasquini, formaggi e, infine, le tagliatelle alle noci da loro stessi realizzate e servite calde, in un gioco che è un piccolo crescendo nel colloquio con i presenti e nel loro coinvolgimento non solo mangereccio, se c’è quasi un finale in cui tutti sono invitati a fare il verso del maiale (che in Emilia è un’icona insostituibile) accompagnato da una certa azione, per dargli intensità drammatica. E dopo, con i bicchieri di vino pieni, inevitabili domande e chicchere, prima di alzarsi da tavola. Le Ariette sono state fondate nel 1989, quando, «dopo il crollo dl Muro» e con esso di tutto un mondo, delle idee e una cultura, Stefano e Paola si ritirano nel podere dei genitori di lei con una scelta «quasi autopunitiva, autoescludente», abbandonando il mondo, le idee, il teatro che facevano prima per «cercare la vita», che si rivela poi appunto in questo lavoro «del tutto antieconomico» sulla natura, sui sensi e sui sentimenti, sul mettersi in gioco sino in fondo così che appaia una qualche verità, frutto di un rito collettivo coinvolgente cui non si può sottrarsi, a contrasto con tanta vita del mondo odierno e che non può non far riflettere. Attorno alla tavola, la prima sera, anche il direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, che ha sottolineato come l’inizio di stagione, in un momento gravemente critico sul piano finanziario per l’Argentina, fosse volutamente dedicato a esprienze teatrali legate al sociale, e dopo le Ariette verrà, da lunedì, il Teatro Patologico con una sua «Medea» e il lavoro del Laboratorio Gabrielli.

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