Processo Caronte, 200 anni di carcere al clan Ciarelli-Di Silvio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Processo Caronte, 200 anni di carcere al clan Ciarelli-Di Silvio

Si è chiuso con 23 condanne, per oltre 200 anni di carcere, e la conferma di una assoluzione, il processo d’appello che vedeva alla sbarra 24 persone, per lo più esponenti del clan Ciarelli-Di Silvio di Latina. Associazione per delinquere con l’aggravante del metodo mafioso, cinque tentati omicidi, e una serie di rapine, estorsioni, episodi di usura, minacce, erano le accuse per le quali è stato istruito un processo d’appello che nella sua fase di primo grado aveva già portato condanne per oltre 200 anni di reclusione.- Le pene più alte inflitte oggi dalla III Corte d’appello di Roma, presieduta da Giannicola Sinisi, sono state a Carmine Ciarelli, ritenuto uno dei capi dell’organizzazione, condannato a 20 anni e mezzo di reclusione (6 mesi in meno rispetto al primo grado), a Costantino Di Silvio, la cui famiglia ha legami con quella romana dei Casamonica, a 15 anni e 2 mesi, a Ferdinando Ciarelli (detto Macù) a 18 anni e 10 mesi. Unica assoluzione, confermata, quella a Antonio Di Silvio, detto Sapurò. Ventiquattro erano gli imputati, per lo più appartenenti alle famiglie dei Ciarelli e dei Di Silvio che, secondo gli inquirenti, avrebbero formato un unico sodalizio per controllare diversi traffici illeciti e coinvolti in quella nota come la «guerra criminale» che all’inizio del 2010 aveva sconvolto il capoluogo pontino con l’agguato a Carmine Ciarelli e gli omicidi di Massimiliano Moro e Fabio Bonamano. Per l’accusa, le famiglie Ciarelli e Di Silvio costituivano una pericolosa associazione per delinquere avente quale scopo il monopolio del crimine a Latina. Il processo «Caronte» (dal nome dell’operazione che portò agli arresti) è il frutto d’indagini sulla cosiddetta guerra criminale tra rom e non rom esplosa nel gennaio 2010 a Latina. Le indagini portarono alla luce una ‘strutturà criminale finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati in materia di detenzione, porto e cessione illegale di più armi da sparo, omicidi, tentati omicidi, lesioni, incendi, rapine, estorsioni, usura, trasferimenti fraudolenti di valori e cessione di sostanze stupefacenti«. Centrale, nel ‘gruppò, era anche la figura e il ruolo delle donne, alcune delle quali finite in manette, processate e condannate: c’era chi aveva il compito di custodire le armi, chi di esigere i crediti, chi di estorcere il denaro e minacciare.

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login