Dimissoni Marino, Pd Roma spaccato sulla sfiducia lancia un appello al premier: "Renzi ci dia la linea" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Dimissoni Marino, Pd Roma spaccato sulla sfiducia lancia un appello al premier: “Renzi ci dia la linea”

Evitare il bagno di sangue in Aula Giulio Cesare. Evitare la corrida finale che vedrebbe vittima designata Ignazio Marino ma anche un Pd romano lacerato e un commissario cittadino, Matteo Orfini, in difficoltà. Il Pd capitolino, che si dichiara unito e compatto, ha in realtà più di una crepa. Oggi i consiglieri si sono chiusi in conclave per tentare una via d’uscita ad una situazione ormai kafkiana: come si può sfiduciare il proprio sindaco votando assieme al nemico, Alemanno compreso? Ma del resto come si può andare avanti così? In casa dem sono tanti i malumori e i timori. Orfini anche oggi ribadisce che se «Marino ritira le dimissioni noi lo sfiduciamo» ma è una scelta che alcuni consiglieri non condividono. E per questo chiedono un intervento dall’alto. «Renzi ora ci dia una linea, ci dica lui che Marino va sfiduciato», dice più di uno mentre entra alla riunione che di fatto sancisce una spaccatura sull’opzione sfiducia. Nel frattempo il premier e segretario Matteo Renzi osserva e non accenna ancora ad intervenire nel caso Roma. Anzi, il suo entourage fa sapere: «Se Marino vuole parlare col Pd c’è il commissario Orfini». Insomma, per il premier la tragedia romana per ora resta romana. E delegata ai suoi attori principali. La compagine dem però è in fermento. Indietro non si torna, certo. Ma vogliono che anche il partito nazionale ci metta la faccia. «La posizione assunta dal Pd nazionale e da tutti noi non è mai cambiata rispetto al 12 ottobre, giorno in cui il Sindaco ha presentato le sue dimissioni – dicono gli eletti in Aula Giulio Cesare – Null’altro c’è da ribadire se non che ogni futura decisione sarà condivisa e concordata con il Partito di cui facciamo parte». Ma ci sono i distinguo. Anche perchè, come spiega il capogruppo Fabrizio Panecaldo, «ognuno ha su ciò che potrebbe accadere una posizione diversa: io sono per non votare nessun atto contro il sindaco insieme alle destre, con chi ha sfasciato Roma e fatto Parentopoli». E come lui la penserebbero almeno altri cinque-sei consiglieri. Anche Sel non vuole sentir parlare di fiducia «votata assieme ai fascisti». «Nè con il Pd nè con la destra», è il mantra dei vendoliani. Se i falchi spingono sulla sfiducia le colombe pensano ad un’altra via di uscita: dimissioni in massa dei consiglieri. In casa dem si fanno i conti. «Noi siamo 19 – sussurra qualche consigliere del Pd – Sel sono in quattro e Centro democratico uno. Si arriva così a 24». Ne manca all’appello uno, per raggiungere quota 25. Ma il diktat politico di queste ore è «non accettare voti dalla destra». In soccorso potrebbe arrivare qualcuno del gruppo misto o qualche ‘onorevolè del Movimento 5 Stelle. Ma anche su questo i consiglieri Pd vogliono garanzie dal partito nazionale. Magari con un atto, un documento condiviso che li legittimi. In modo così da non risultare i ‘diretti mandantì di un’esecuzione. Insomma, i dem non vogliono trasformarsi in tanti Bruto. E proprio sotto lo sguardo di Giulio Cesare.

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