Shalabayeva: "Fiducia nella giustizia italiana". Falsi lasciapassare con foto della polizia | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Shalabayeva: “Fiducia nella giustizia italiana”. Falsi lasciapassare con foto della polizia

«I panni sporchi si lavano in famiglia». O ancora: «mi avrebbero schiacciato ho fatto pippa.. non ho sputtanato nessuno.. hanno pagato il mio silenzio». Da questi colloqui intercettati i pm di Perugia e i carabinieri del Ros ritengono che il giudice di pace Stefania Lavore fosse consapevole del fatto che la convalida del trattenimento di Alma Shalabayeva nel Cie di Ponte Galeria fosse un «passaggio essenziale» per il trasferimento «forzato» della donna in Kazakistan. Lavore, che convalidò il trattenimento, è infatti indagata anche per falso ideologico proprio in relazione al contenuto del verbale di quell’udienza, tenutasi la mattina del 31 maggio. Un verbale nel quale non si dà conto, tra l’altro che i difensori della donna avevano evidenziato come quello di Alma Ayan fosse solo un nominativo di copertura, per ragioni di sicurezza, di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, nè che era stata presentata istanza di asilo politico, tenuto conto del «gravissimo rischio» per l’incolumità della donna se fosse stata forzatamente rimandata in Kazakistan. L’udienza di convalida è l’ultimo atto prima dell’imbarco di Alma Shalabayeva e della figlia minorenne Alua sul volo Avcon Jet, pagato dall’ambasciata kazaka e decollato da Ciampino per Astana. Una vicenda che si consuma in quattro giorni, dal 28 al 31 maggio, e per la quale la procura di Perugia ha ipotizzato il reato di sequestro di persona nei confronti di otto indagati. Oltre alla Levore, l’attuale capo del Servizio Centrale operativo, Renato Cortese, allora a capo della squadra mobile di Roma; il questore di Rimini Maurizio Improta, che era capo dell’ufficio stranieri della questura della Capitale, ed altri cinque poliziotti: Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all’epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tutti in servizio presso l’ufficio immigrazione. Negli atti dell’inchiesta si ripercorre cronologicamente il caso, a cominciare dalle «visite» in Questura dei funzionari dell’ambasciata kazaka che avrebbero concorso nel rapimento. Visite dalle quali discendono le imputazioni di omissione di atti d’ufficio e falso per Cortese, Armeni, Stampacchia e Improta. I primi tre (dirigente e funzionari della Mobile), «fin dal primo pomeriggio del 28 maggio 2013» avrebbero infatti conosciuto le reali generalità della Shalabayeva, avendo ricevuto dalle autorità kazake una «nota verbale» corredata di foto e 21 allegati. Ma di queste informazioni non avrebbero fatto menzione con altri, nemmeno con i colleghi dell’Ufficio immigrazione dove la donna venne accompagnata subito dopo la perquisizione compiuta nella villa di Casal Palocco nella quale si trovava. Non avrebbero rivelato, insomma, che Alma Ayan, come risultava in base al passaporto centrafricano di cui era in possesso, era invece Alma Shalabayeva, moglie del «dissidente-ricercato» Mukhtar Ablyazov. Una circostanza che Improta apprese comunque nel pomeriggio del 29 maggio dal funzionario dell’ambasciata kazaka Nurlan Khassen, ma che a sua volta non avrebbe rivelato, inducendo così in errore il questore e il prefetto di Roma che quello stesso 29 maggio emisero, rispettivamente, decreto di espulsione ed ordine di trattenimento nei confronti di «Alma Ayan». E ciò senza che ve ne fossero le condizioni, poichè la donna, tra l’altro, aveva una figlia minore con lei convivente ed aveva ampie disponibilità economiche, circostanze anch’esse taciute. Secondo la ricostruzione degli inquirenti perugini, la mattina del 30 maggio e dunque prima dell’udienza di convalida del trattenimento presso il Cie, Improta avrebbe consegnato a Khassen un Cd contenente le fotografie di Alma ed Alua. Queste foto, poi utilizzate dalle autorità kazake per formare i lasciapassare necessari per l’espatrio della donna e della figlia, sarebbero state riprodotte dal passaporto centrafricano della Shalabayeva, in possesso della Squadra mobile perchè sequestrato in quanto ritenuto falso. A fornire le foto ad Improta sarebbe stato Stampacchia, mentre Khassen le avrebbe utilizzate per formare i falsi «documenti di ritorno», i cosiddetti lasciapassare, appunto. Non prima, però, di aver ritoccato la fotografia di Alua in modo da non far apparire i segni del timbro che si vedevano sulla foto del passaporto. – Alma Shalabayeva esprime «fiducia nel sistema giudiziario italiano» il giorno dopo la notizia che la procura di Perugia ha emesso avvisi di garanzia con la pesante accusa di sequestro di persona (nonchè di falso ed omissione di atti d’ufficio) nei confronti di sette poliziotti ed una giudice di pace che agevolarono il 31 maggio di due anni fa il frettoloso rimpatrio della donna e di sua figlia Alua da Roma chiesto dalle autorità kazake. «Oggi – dice all’ANSA la donna – ho fiducia nel sistema giudiziario italiano che sta cercando i responsabili e ringrazio la procura di Perugia che è stata molto autonoma e diligente nelle sue indagini: è stato fatto un lavoro molto serio per la ricerca della verità dietro il rapimento mio e della mia bambina». Shalabayeva non vuole entrare nel merito della decisione dei magistrati di mettere gli otto funzionari italiani nel registro degli indagati; ribadisce tuttavia le sue convinzioni su quelli che ritiene i colpevoli del sequestro. «Certamente – sottolinea – le investigazioni hanno chiarito che le principali responsabilità per quello che è accaduto sono dei diplomatici kazaki che si trovavano in Italia». Si tratta dell’ambasciatore a Roma del Kazakistan, Andrian Yelemessov, del consigliere degli affari politici, Nurlan Khassen, e dell’addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov, che erano indagati per sequestro di persona e per i quali la procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione. «Loro sono i mandanti», aveva detto la donna nel maggio scorso, opponendosi – tramite i suoi legali – alla richiesta di archiviazione. Alma Shalabayeva vive ancora ancora a Roma, insieme ai figli Alua (che ora ha 8 anni) e Madar e non dimentica chi ha lavorato per farla rientrare dal Kazakistan. «Voglio ancora – spiega – ringraziare pubblicamente Emma Bonino per i suoi sforzi cruciali fatti per ottenere il rilascio mio e di mia figlia dal regime kazako». Quanto al marito, il dissidente Muktar Ablyazov, è ancora in carcere in Francia, dove è stato arrestato nel luglio del 2013. Nello scorso settembre Parigi ha risposto positivamente alla richiesta di estradizione verso la Russia, dove è imputato per truffa e appropriazione indebita. Ma il trasferimento non è avvenuto.

email

Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login