Maxxi, Istanbul tra furore e passione | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
Direttore responsabile Giovanni Tagliapietra

Maxxi, Istanbul tra furore e passione

– Oltre 100 opere, realizzate da 45 tra architetti e artisti delle nuove generazioni, raccontano le trasformazioni sociali, la tensione politica, i conflitti, la crescita urbanistica di Istanbul e del resto della Turchia in una grande mostra allestita da domani al 30 aprile negli spazi del Maxxi. Video, installazioni visionarie, immagini fotografiche, arazzi di seta bellissimi e drammatici, ricamati dalle donne, creano un percorso capace di restituire l’energia di una comunità estremamente creativa, che ha fatto dell’arte uno strumento di gioia e di trasformazione civile. Presentata oggi alla stampa dal presidente della Fondazione Maxxi Giovanna Melandri e dal direttore artistico Hou Hanru, l’importante rassegna ribadisce la vocazione del museo romano a mettere in primo piano le realtà culturali del Mediterraneo e in particolare il rapporto tra Medio Oriente ed Europa. Ecco quindi, che dopo l’esposizione dedicata all’Iran del 2014, ora è la volta di «una metropoli straordinaria – ha detto Melandri – attraversata però da conflitti secolari» di tipo religioso, politico e sociale, che fa quotidianamente i conti con l’urbanizzazione selvaggia e la proletarizzazione dei centri urbani. Del resto, il titolo di questa che è stata definita una ‘mostra-progettò già dice molto. ‘Istanbul. Passione, gioia, furorè ha l’obiettivo di riscoprire un’arte intrisa di impegno sociale che coraggiosamente affronta le sfide del contemporaneo, dando vita a una sorta di nuovo modello estetico. Le opere che si susseguono nelle gallerie al piano terra e al primo piano del Maxxi hanno non a caso un punto di partenza nella rivolta del Gezi Park, occupato nel 2013 dai cittadini di Istanbul per evitarne la trasformazione in un centro commerciale, e diventata simbolo della resistenza della società civile contro la regressione della democrazia. E se il ruolo centrale di quella lotta è stato indubbiamente giocato da artisti e intellettuali, la mostra ne ribadisce lo spirito assicurando il visitatore che quell’impegno non si è spento. Curata da Hou Hanru con Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli, la rassegna rende conto di ogni palpitazione di quel laboratorio di idee, suggestioni, visioni. Gli architetti mettono a punto sconfinate mappe cittadine e riflettono, spiega la Saroli, sugli spazi interstiziali tipici di Istanbul, dove cresce un pò di verde e la vita. E mentre le foto delle vie della città mostrano la censura che ricopre ogni espressione di dissenso con mani di vernice, gli scatti di Taycan ne illustrano la crescita urbana smisurata. Dopo una pausa meditativa in uno spazio buio, dove una luce profondamente azzurra scandisce le ore e le preghiere, la drammaticità della metropoli torna in una clip di musicisti rap in lotta conto Toki, l’istituzione preposta all’urbanizzazione che sta cancellando il volto di Istanbul. L’identità culturale, i diritti civili, la fede religiosa, la libertà di espressione sono al centro dell’opera di artisti come Sarkis o Gunes Tekol, mentre i video di Ali Kazma o di Burak Delier indagano le problematiche scaturite dallo scontro tra ideologia liberista e vecchi equilibri.

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