Sos ospedale Israelitico: "La burocrazia lo sta uccidendo" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Sos ospedale Israelitico: “La burocrazia lo sta uccidendo”

«La burocrazia sta uccidendo l’ospedale Israelitico di Roma che rischia di non riprendere più le sue attività e di dover licenziare 700 dipendenti, se non viene trovata una soluzione prima di Natale». È l’allarme lanciato oggi in una conversazione con l’ANSA dal commissario Alfonso Celotto, incaricato dalla comunità ebraica romana di guidare il nosocomio, dopo la bufera giudiziaria che si era abbattuta sulla precedente amministrazione e che aveva portato a 14 arresti per truffa e per un giro di cartelle false. È da quasi due mesi che l’ospedale è chiuso al pubblico e perde ogni giorno 150.00 euro. «Una situazione drammatica – spiega il commissario Celotto – non solo per il personale, ma anche per la popolazione di Roma, senza più una struttura di eccellenza di riferimento che offriva 2.400 visite quotidiane, e per la comunità ebraica (parte lesa nella vicenda giudiziaria, ndr) che si vede ora privare dell’unico ospedale che offre una sinagoga al suo interno e cibo kosher». Il motivo per cui l’ospedale non può ripartire, è stato spiegato, è che la Regione Lazio ha chiesto, come condizione per dare l’autorizzazione, l’insediamento di un secondo commissario, di nomina prefettizia: si tratta di Massimo Russo, designato da Gabrielli il 2 dicembre scorso. Massimo Russo è però un magistrato e per entrare nel suo nuovo ruolo ha bisogno del nulla osta del Consiglio Superiore della Magistratura. Il nulla osta ancora non è arrivato. Così tutto è fermo e l’ospedale continua ad accumulare perdite economiche difficilmente ripianabili. «Non abbiamo i soldi per le tredicesime e, se non succede qualcosa non potremo rinnovare il contratto a 240 lavoratori», spiega Celotto. Il commissario, nominato dalla Comunità ebraica, si definisce «un burocrate e di situazioni ingarbugliate ne ha viste tante in vita sua ma mai una intricata come questa. La burocrazia ci sta uccidendo», ammette non nascondendo «una grave preoccupazione». «Occorre trovare una soluzione prima di Natale o sarà la fine», avverte, contando «sulla buona volontà» espressa da tutte le parti in causa, ovvero dal prefetto, dal ministero della Sanità, dall’autorità Anticorruzione, e dalla Regione Lazio. «Ora però servono i fatti», conclude.

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