Il Papa con il popolo degli ultimi per la lavanda dei piedi e pranzo con i parroci | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Il Papa con il popolo degli ultimi per la lavanda dei piedi e pranzo con i parroci

– “Con il popolo scartato”. “Non abbiamo paura di eccedere in incontro e perdono”. Come Pietro, vergognamoci dei nostri peccati ma accettiamo la dignita’ della missione. Il Papa celebrando la messa del crisma, nella basilica di San Pietro, attorniato da vescovi e cardinali, ha tracciato il progetto di quella “dinamica della misericordia”, che altro non e’ che la “dinamica del buon samaritano”, alla quale si ispira particolarmente nell’anno giubilare che ha intitolato alla misericordia. La misericordia, ha ricordato, si contrappone a “indifferenza e violenza”, e “la dinamica della misericordia lega un gesto con l’altro, e senza offendere nessuna fragilita’, si estende un po’ di piu’ nell’aiuto e nell’amore”. Con questo spirito questo pomeriggio a Castelnuovo di Porto celebrera’ la messa “in coena Domini”, con il rito della lavanda dei piedi, in un CARA, cioe’ un Centro di accoglienza per richiedenti asilo, dove i profughi vengono ospitati in attesa che vengano espletate le procedure per accogliere o meno la loro domanda di protezione internazionale. Per uno dei gesti giubilari piu’ significativi dell’anno santo dunque papa Francesco ha scelto i profughi, che sono una priorita’ del suo pontificato dal primo viaggio, a Lampedusa nel luglio 2013, e per i quali, ancora per tutto il mese di marzo parallelamente ai tre vertici europei e alla cronaca internazionale, non ha smesso di spendere interventi e appelli. Lavare i piedi e’ un gesto di servizio, che il cristiano e’ chiamato a compiere verso ogni essere umano, e oggi il Papa lavera’ i piedi a 12 uomini e donne, tra loro anche molti di religione islamica. Celebrando in un CARA la lavanda dei piedi, papa Bergoglio rende ancora piu’ significativo questo rito suggestivo che ricorda quello compiuto da Gesu’ verso i suoi discepoli, lo stesso giorno in cui ha istituito l’eucaristia. Nel 2013 infatti il Papa lo ha compiuto nel carcere minorile di Casal Del Marmo, nel 2014 in un centro per disabili gravi di Don Gnocchi e nel 2015 nel carcere di Rebibbia; in tutte queste precedenti occasioni tra i dodici c’erano uomini e donne, alcuni di religione islamica. Il CARA di Castelnuovo di Porto, – prima lavanda dei piedi del giovedi’ santo celebrata da Bergoglio fuori Roma – ospita 892 persone da 25 diversi Paesi, di cui 15 Paesi africani, 9 asiatici, uno europeo extra Ue. 849 sono uomini, 36 donne, 7 minori. L’ottanta per cento degli ospiti sono giovani con una eta’ compresa tra i 19 e i 26 anni, ma c’e’ anche una famiglia irachena che comprende quattro generazioni, dalla bisnonna in giu’. Il CARA ospita 557 musulmani, 239 cristiani, tra copti, cattolici e protestanti, 94 pentecostali e due indu’. – “Tutti noi, insieme, musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici, fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati: un gesto. Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione, in una citta’ dell’Europa, da gente che non vuole vivere in pace, ma dietro quel gesto” “ci sono i fabbricatori, i trafficanti delle armi che vogliono il sangue non la pace, la guerra, non la fratellanza”. Il Papa ha spiegato cosi’ la lavanda dei piedi che stava per compiere nel CARA di Castelnuovo di Porto. “Due gesti, – ha riflettuto – Gesu’ lava i piedi e Giuda vende Gesu’ per denaro, noi tutti insieme diverse religioni, di diverse culture ma figli dello stesso padre, fratelli, e quelli che comprano le armi per distruggere”. Papa Francesco ha voluto imprimere il sigillo della unita’ dei credenti per la pace, e della fratellanza contro l’odio, le guerre e il traffico di armi, al rito della lavanda dei piedi che ha compiuto al CARA, acronimo per Centro di accoglienza per richiedenti asilo, cioe’ dove i profughi vengono ospitati in attesa che vengano espletate le procedure per accogliere o meno la loro domanda di protezione internazionale. Bergoglio ha lavato i piedi a 11 profughi e una operatrice del CARA, in tutto cinque cattolici, quattro musulmani, un indu’ e tre cristiani copti. Il CARA, – dove papa Francesco e’ arrivato intorno alle 16,50 a bordo di una Golf blu, accolto da mons. Rino Fisichella e dai dirigenti, ha stretto tante mani e autografato a pennarello, con il suo ‘Franciscus’ in calligrafia minuta uno striscione che gli dava il benvenuto, in italiano e in altre 10 lingue – ospita 892 persone da 25 diversi Paesi, di cui 15 Paesi africani, 9 asiatici, uno europeo extra Ue. 849 sono uomini, 36 donne, 7 minori. L’ottanta per cento degli ospiti sono giovani con una eta’ compresa tra i 19 e i 26 anni, ma c’e’ anche una famiglia irachena che comprende quattro generazioni, dalla bisnonna in giu’. Nella forte omelia, tenuta interamente a braccio, il Papa – che nella visita e’ stato accompagnato da tre migranti che gli hanno fatto da interprete, l’afgano Ibrahim, il maliano Boro e l’eritreo Segen – ha accennato alle storie che ognuno degli ospiti del CARA ha alle spalle. Ci sono tutte le rotte della disperazione nelle vite dei profughi cui ha lavato i piedi: c’e’ Mohamed, arrivato al CARA da meno di due mesi, nato in Siria, da dove e’ scappato varcando il confine con la Libia, e’ approdato a Lampedusa. Ha appena compiuto 22 anni ed e’ musulmano. Dalla Libia sono approdati al CARA anche Sira, 37 anni, del Mali, e Lucia, Dbra e Luchia, tre cristiane copte partite dall’Eritrea. Khurram, invece e’ partita dal Pakistan e attraverso Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria e’ arrivata a Caltanissetta. Uomini e donne di diverse religioni, accomunati da queste rotte del dolore e dallo stesso desiderio di vita e di futuro, quei profughi che sono priorita’ del pontificato dal primo viaggio, a Lampedusa nel luglio 2013, e per i quali, ancora per tutto il mese di marzo parallelamente ai tre vertici europei e alla cronaca internazionale, non ha smesso di spendere interventi e appelli. “E’ bello vivere insieme come fratelli, con culture e religioni differenti, ma siamo tutti fratelli, questo ha un nome, pace e amore”, ha detto ancora il Papa dopo aver ascoltato alcuni canti in tigrigno, e prima di stingere la mano, uno per uno, a tutti gli 892 ospiti del CARA. I migranti hanno donato al Pontefice un quadro raffigurante Gesu’, mentre Francesco, gia’ questa mattina, ha fatto consegnare loro 200 uova di cioccolato, una scacchiera e palloni da calcio e palline da baseball autografate da campioni. Noi pastori “con il popolo scartato”, aveva incitato al mattino, nella messa del crisma celebrata con cardinali e vescovi e incentrata sulla “dinamica della misericordia” che e’ la “dinamica del samaritano”. A questa umanita’ scartata Bergoglio ha cercato oggi di restituire dignita’ e di sostenerne la speranza, in un incontro che restera’ tra i piu’ significativi del giubileo che il Papa ha intitolato alla misericordia.- “Attenti a quelli piu’ silenziosi perche’ magari si vergognano di bussare alle porte e chiedere aiuto. Andate a scovarli. Non c’e’ solo la poverta’ materiale ma anche la poverta’ umana” che colpisce tanti che nelle periferie delle grandi citta’ finiscono relegati nella solitudine e vittime dell’abbandono sociale. Papa Francesco, nel Giovedi’ Santo in cui ha lavato i piedi ai profughi del Cara di Castelnuovo di Porto, subito dopo la messa crismale della mattina in San Pietro ha incontrato a pranzo dieci parroci della “sua” diocesi, in un incontro informale e senza filtri a casa di mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, diventato ormai una piccola tradizione del papato di Bergoglio. Dieci parroci che operano sul territorio, nelle aree piu’ disagiate della capitale, e che hanno riferito al vescovo di Roma le urgenze e i problemi piu’ pressanti, senza risparmiare la denuncia nei confronti di istituzioni spesso assenti. “Il Papa per la maggior parte del tempo ci ha ascoltato dandoci occasione di condividere le realta’ e le emergenze delle nostre comunita’ – spiega all’ANSA uno dei presenti, don Fabio Corona, della Beata Madre Teresa, al cui centro di ascolto nella periferia est della Capitale si rivolgono 17 mila persone -. I problemi sono quelli delle famiglie, della disoccupazione, dei disagi legati alle periferie. Lui li ha voluti conoscere. In questo quartiere noi siamo praticamente l’unico presidio esistente insieme alla scuola. Tutta l’area interessa 60 mila abitanti e dalle istituzioni e’ di fatto dimenticata”. Un abbandono di cui Bergoglio ha voluto sapere di piu’, rimanendo colpito anche da episodi solo apparentemente marginali, come quello legato al parroco del Corviale, don Giuseppe Redemagni, che si e’ preso in carico le spese legate alle esequie di diversi defunti, compresa quella dello smaltimento della salma. Oppure le vicende di anziani che magari per gli ascensori rotti del “mostro” del Corviale finiscono dimenticati nelle case, senza nessuno che porti da mangiare o i medicinali per giorni. “Meno male che il parroco abbia dato degna sepoltura, sono le cose che accadono nelle citta’ moderne, e che nessuno sa”, ha sottolineato Francesco, non senza un certo sgomento per l’accaduto. “E’ qui – riferisce don Roberto Zammerini, rettore del seminario minore – che il Papa ci ha raccomandato una attenzione integrale alle persone, non solo a quelle dalle difficolta’ piu’ evidenti, ma anche alle situazioni di solitudine, di poverta’ umana di chi e’ messo ai margini. Dietro a un affitto non pagato, ci ha spiegato ricordando la sua esperienza a Buenos Aires, ci sono anche le persone singole, con le mancanze di affetti, abbandonate a se’ stesse. Ci ha incoraggiato a colmare questi vuoti”. Parroci avamposto, una specie di ultimo baluardo, e’ quelli che vuole Francesco. Un identikit a cui rispondono anche gli altri suoi commensali di oggi: come don Stefano Sparapani, parroco di San Basilio, don Paolo Iacovelli, parroco di Santa Bernadette, don Luigi Lani, della parrocchia di San Corbiniano (periferia Sud), don Manrico Accoto, parroco di Santa Giulia Billiarti, don Andrea Palamides, di una comunita’ per famiglie disagiate e giovani con problemi di droga e disabilita’, don Stefano Piccini, parroco di Santa Gemma Galgani, e don Paolo Salvini, parroco di San Fulgenzio. A tavola si e’ parlato anche di vocazioni: “attenzione a quei candidati che presentano rigidita’. Quelli molto impostati, che magari hanno una preparazione ottima sulla carta ma poi mancano di umanita’”, ha avvertito il Papa. “Ricordatevi che io sono il vescovo di Roma – si e’ quindi congedato al termine dell’incontro -, non abbiate paura di disturbare, rivolgetevi a me”.

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