Regeni, la famiglia chiede una risposta al governo. La madre: "Torturato come nel nazifascismo" | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Regeni, la famiglia chiede una risposta al governo. La madre: “Torturato come nel nazifascismo”

Se il 5 aprile gli egiziani si presenteranno con niente in mano sperando di prendere altro tempo, l’Italia non potra’ piu’ stare a guardare: “abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni, ma a questo punto serve una risposta forte del governo”. Paola e Claudio Regeni indicano la data limite oltre la quale non sono piu’ disposti ad andare per cominciare ad avere risposte sulla morte del figlio. In una conferenza stampa al Senato con il presidente della Commissione diritti umani Luigi Manconi e con il portavoce di Amnesty international Italia Riccardo Noury, i genitori del ricercatore ucciso al Cairo hanno ribadito che non accetteranno depistaggi e verita’ di comodo. Il 5 aprile si incontreranno gli investigatori italiani con quelli egiziani, una riunione concordata con il procuratore generale egiziano Nabil Sadeq dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone nella sua visita al Cairo. E in quell’occasione, spiega l’avvocato della famiglia Allessandra Ballerini, “non ci aspettiamo che ci diano il colpevole ne’ che ci sia l’ultima parola, ma che portino gli atti” che gli inquirenti hanno chiesto da oltre un mese: “i tabulati di Giulio dei due mesi precedenti la scomparsa, l’analisi delle celle telefoniche, i video, i verbali delle testimonianze, gli effetti personali di Giulio”. A proposito di questi ultimi, la famiglia ha riconosciuto oggi ufficialmente solo i documenti, mentre sul portafogli ci sono ancora dubbi. “Tutto il resto non e’ di Giulio” ha spiegato l’avvocato non escludendo altri depistaggi: “speriamo sia l’ultimo, perche’ non sappiamo cosa hanno in serbo per domani. Vediamo se si inventeranno qualcosa prima dell’incontro, che gia’ doveva esserci stato ed e’ slittato” proprio per la storia della banda di rapinatori. “Ero in auto – ha raccontato Paola Regeni – quando mi hanno detto della sparatoria e dei cinque arrestati. sono arrivata a casa e ho detto a mio marito, ‘ora diranno che sono quelli che hanno ucciso Giulio’, mi sono anche messa a ridere e ho aggiunto ‘vediamo se faranno questa sceneggiata’. l’hanno fatta veramente”. “Il regime – ha aggiunto l’avvocato – nega la verita’ perche’ e’ una verita’ in ogni caso scomoda. Sono riusciti a far sparire un italiano in un luogo presidiato da centinaia di poliziotti in un giorno che non era un giorno qualunque, e lo hanno fatto riapparire in quelle condizioni in un luogo che e’ molto controllato. Qualunque sia la verita’ e’ molto scomoda per quel regime”. Ecco perche’ Paola e Claudio ribadiscono che non si fermeranno. “Nessuno ha tentato di dissuaderci, anche perche’ hanno capito che pur se non abbiamo alzato la voce, siamo una famiglia ferma, se serve diventiamo un carro armato – dice Paola – Se il 5/4 sara’ una giornata vuota confidiamo in una risposta forte del nostro governo, e’ dal 25 gennaio che attendiamo risposte su Giulio”. “Abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni e andiamo avanti con loro – aggiunge il marito Claudio – ma serve una risposta forte perche’ non abbiamo mai avuto la sensazione che il governo egiziano voglia collaborare seriamente”. Cosa debba fare l’Italia, i genitori lo lasciano dire al senatore Manconi: richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo per consultazioni, “un gesto non simbolico per far comprendere come il nostro paese segua il caso”, rivedere le relazioni diplomatico-consolari tra i due paesi, inserire l’Egitto nell’elenco dei paesi non sicuri dell’unita’ di crisi della Farnesina. Un paese dove, secondo Amnesty, nel 2016 si sono gia’ verificati 88 casi di tortura, due dei quali con esito mortale. “Sotto l’attuale ministro dell’interno – ha spiegato Noury citando i dati raccolti dalla Ong egiziana El Nadeem – sono aumentati in modo esponenziale i casi di tortura. Nel 2015 ci sono stati 464 casi di sparizione forzata in carceri segrete o basi militari e 1.676 casi di tortura, di cui 500 finiti con la morte”.E, dettaglio di non poco conto, “nei giorni in cui e’ sparito Giulio si sono registrati altri due casi. E tutte e due le persone sono state ritrovate morte con segni di tortura”.

Non una lacrima, ma tanto dolore. Un “dolore necessario”, da affrontare “tutti insieme”. Paola Regeni ha lo sguardo fiero, una sciarpa gialla dello stesso colore dello striscione con cui chiede verita’ e giustizia, la forza di una madre che combattera’ fino all’ultimo per avere quell’unica risposta che conta: perche’ Giulio e’ stato ridotto in quel modo. Accanto al marito Claudio, nella sala del Senato dedicata ai morti di Nassiriya, Paola affronta decine di giornalisti con la consapevolezza di chi sa che la morte del ricercatore e’ un fatto enorme che non ha cambiato soltanto la vita della sua famiglia. Ed infatti: “La morte di Giulio non e’ un caso isolato. Non e’ morbillo, non e’ varicella. La parte amica dell’Egitto ci ha detto che l’hanno torturato e ucciso come un egiziano. Forse non saranno piaciute le sue idee. E forse – scandisce Paola – era dai tempi del nazifascismo che un italiano non moriva dopo esser stato sottoposto alle torture. Ma Giulio non era in guerra, non era in montagna come i partigiani, che hanno tutto il mio rispetto. Era li’ per fare ricerca. Eppure lo hanno torturato”. Per un attimo, prima di affrontare i media, i genitori di Giulio hanno pensato ad un gesto estremo per smuovere le acque, diffondere la foto di Giulio all’obitorio della Sapienza. Come fece gia’ Patrizia Aldrovandi, come continua a fare Ilaria Cucchi. Poi alla fine ci hanno ripensato, anche se non e’ escluso che piu’ avanti possano cambiare idea, soprattutto se dall’Egitto continueranno ad arrivare depistaggi. “Crediamo che le parole della madre siano piu’ forti” ha detto il loro avvocato, Alessandra Ballerini. E allora eccole, quelle parole. “L’ultima foto che abbiamo di Giulio e’ del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno – dice Paola – , quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c’e’ un piatto di pesce e intorno gli amici, perche’ Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. E’ un’immagine felice”. Poi ce un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’e’ un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perche’ tutto il male del mondo si e’ riversato su di lui”. Nessuno parla, Paola prosegue nel silenzio. “All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice e’ il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”. La madre di Giulio non piange. Non ci riesce. “Io che piango sentendo le canzoni romantiche, i funerali e pure per i disegni dei bambini, finora ho pianto pochissimo. Per Giulio non riesco a piangere, ho un blocco totale e forse riusciro’ a sbloccarmi solo quando riusciro’ a capire cosa e’ successo a Giulio”. Le chiedono quale sia la cosa che le fa piu’ male. “Pensare a quando lui avra’ cercato in tutti i modi di far capire chi era, parlando in arabo, in inglese, in italiano, in spagnolo, in tedesco, magari anche nel dialetto del Cairo, e niente e successo. Poi mi capita di vedere i suoi occhi, quei suoi occhi felici, che dicono ‘ma cosa sta succedendo, non puo’ accadere a me’. E ancora, lo immagino quando, alla fine, capisce che quella porta non si aprira’ piu’, perche’ lui aveva tutte le chiavi cognitive, linguistiche, e storiche per capire cosa stava accadendo”. In questi due mesi, dice ancora Paola, ci sono stati “momenti di rabbia”, ma soprattutto “di gran dispiacere”: per non avere piu’ Giulio. Che e’ una cosa che “ha cambiato la vita a noi, ma  anche a sua sorella. E a Fiumicello. E a molti altri. Una cosa cosi’ – conclude cercando gli sguardi di tutta la sala – cambia la vita a tutti, sapete?”.

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