Il popolo si è pronunciato - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Il popolo si è pronunciato

scrutatori-referendumSiamo arrivati alla fine di una campagna estenuante, fatta di colpi bassi, di parole ingiuriose di tentativi disperati per indurre gli elettori ad approvare la riforma. Alla fine i cittadini si sono espressi. Le dietrologie si sprecano, i politici e i cosiddetti “analisti” cercano di spiegarne l’esito, arrivando talvolta ad attribuire a reazioni umorali la scelta fatta dal popolo. I delusi hanno fino all’ultimo prospettato scenari apocalittici in caso di vittoria del No. Tuttavia, è difficile sentenziare sulle motivazioni dell’esito referendario, perché le ragioni che hanno prevalere l’orientamento degli elettori sono molteplici e vanno dalle più banali e semplicistiche di chi ha votato d’istinto senza avere ponderato le motivazioni della propria scelta a quelle ponderate scaturite da una lettura
approfondita del testo sottoposto al giudizio popolare tenuto pure conto dei dubbi di legittimità sull’attuale parlamento scaturiti delle osservazioni della Corte Costituzionale sulla legge elettorale. In mezzo ci sta di tutto.
Le domande che ora ci si pongono sono: che cosa farà davvero il Presidente del Consiglio dopo questa bruciante sconfitta per evitare la quale ha speso tutte le sue energie? Quale esito avrà il voto sul prosieguo della legislatura? Le riforme che l’Italia attende saranno finalmente varate da questa casta politica? Alla prima domanda ha risposto a caldo Matteo Renzi, annunciando le proprie dimissioni. Onore al merito: ha seguito le orme di David Cameron, ma in tempi brevi ci sarà
occasione per valutarne le conseguenze. Si tratta di capire quale sarà il suo futuro politico, dal momento che un uomo appassionato di quarantuno anni è difficile ritenere che torni a vita privata.Alla seconda è facile ipotizzare che i parlamentari vorranno mantenersi saldamente seduti sui loro munifici scranni fino alla scadenza naturale del loro mandato. Il nodo gordiano rimangono le inattuate riforme costituzionali.La frammentazione del panorama politico e la caparbietà con cui ciascuna delle parti cerca di realizzare la propria idea di riforma che mira soprattutto a garantirsi la sopravvivenza non fanno ben sperare. Il parlamento dovrebbe almeno avere un minimo rigurgito di dignità per formulare una legge elettorale omogenea per camera e senato con la quale andare a votare diminuendo i rischi di
ingovernabilità. Ciò che appare urgentemente necessario è evitare che gruppuscoli possano avere una rappresentanza irrisoria sul piano numerico ma decisiva su quello delle maggioranze parlamentari e delle scelte governative. Occorre eliminare le distorsioni che, in nome di un falso senso della democrazia, hanno finora caratterizzato l’attività politica nazionale. Solo un’elevata soglia di ingresso può garantire contro il proliferare di deboli forze che poi cercano solo un
protagonismo che nuoce al governo e all’attività legislativa.
Quanto alle sostanziali riforme di cui da tempo l’Italia attende il varo, girano intorno al coraggio di abolire l’attuale bicameralismo. La presenza di un senato formato da un ridotto numero di componenti e soprattutto con competenze limitate e ben individuate è auspicabile solo se in Italia si realizzasse la svolta del decentramento federale. Altrimenti, è meglio abolire del tutto la cosiddetta Camera Alta. Inoltre, la drastica diminuzione del numero dei deputati unita all’introduzione del vincolo di mandato costituirebbero di per sé un passo avanti verso una democrazia compiuta. La nostra Costituzione e le norme che ne derivano legittimano molte situazioni insostenibili. Essa nacque da un compromesso tra forze democristiane, forze massimaliste social-comuniste e una debole pattuglia liberale che l’hanno elaborata nel 1948 senza mai sottoporla al giudizio dei cittadini. Alla dittatura di un unico partito con un uomo solo al comando si è sostituito un’oligopolio di partiti retti da un’oligarchia formata delle segreterie. Una seria e radicale riforma costituzionale si presenta di difficile e lunga realizzazione, stanti l’endemica frammentazione politica e la complicata rigidità del farraginoso iter previsto per la sua modifica, mentre i problemi di fronte ai quali ci troviamo sono divenuti numerosi e complessi per essere stati a lungo ignorati e ora necessitano tempestivi, radicali e efficaci rimedi. Urge provvedere celermente a formulare una nuova Carta costituzionale che, mantenendo i valori perenni iscritti nell’attuale legge fondamentale, fornisca le linee guida per una nuova architettura istituzionale dello Stato. È, infatti, chiaro a tutti che nessuna seria e radicale riforma istituzionale potrà mai essere realizzata da una casta politica privilegiata, chiusa nei suoi giochi di palazzo, garantita da una Costituzione blindata e sorda alle istanze che vengono dalla parte più responsabile e attenta della popolazione. La via d’uscita da questa situazione bloccata potrebbe risiedere in una decisiva modifica dell’attuale procedura prevista dalla Costituzione vigente per le modifiche della legge fondamentale dello Stato.
Si tratta di consentire l’elezione di un’Assemblea costituente popolare, senza alcuna ingerenza partitica che, assistita da un pool di esperti di diritto costituzionale internazionale svincolati da correnti politiche e ideologiche, proceda in tempi brevi all’elaborazione di una nuova e snella legge fondamentale adeguata ai tempi e suscettibile di adeguamenti successivi, da sottoporre all’approvazione popolare. L’ipocrisia della casta politica oppone a questa istanza l’impossibilità derivata dall’attuale dettato costituzionale, fingendo di ignorare che l’unica modifica per un cambiamento efficace sarebbe proprio l’introduzione nella Costituzione di un articolo che ne consenta l’attuazione. Peraltro, è proprio ciò che la dittatura partitica non vuole. Ad essa fa comodo continuare ad operare con la garanzia di una Costituzione che legittima il suo effettivo e stabile potere. È invece necessario conferire realmente la sovranità al popolo che possa delegare le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria esclusivamente in presenza di chiari e provati requisiti di idoneità. Maurizio Del Maschio

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