Per governare l’onestà non basta, c’è bisogno di competenza
Quando nel giugno scorso hanno scelto per il Campidoglio la rappresentante del M5S Virginia Raggi, gli elettori romani erano consapevoli del fatto che il loro voto era in qualche modo un gettare il cuore oltre l’ostacolo, e che non c’era nessuna certezza sul futuro, cioè sulla reale capacità dei “grillini” di governare la Città Eterna. Sapevano, sapevamo tutti, due cose. La prima è che la vittoria del M5S era una “basta…” sbattuto in faccia ai partiti che, da decenni, avevano gestito Roma fino a trasformarla nella città fetida e corrotta, decadente e per molti versi decaduta, che è oggi. La seconda è che la scelta dei Cinquestelle era un salto nel buio. In parte per la loro non conoscenza di come si deve gestire una metropoli, per di più malata come Roma. E in parte per l’oggettiva difficoltà di trasformare in atti di governo gli slogan, in qualche caso di stile talebano, che sono la sintesi dei loro programmi, a cominciare da quel grido ritmato di ”Onestà, onestà” che è stato la marcia trionfale che ha accompagnato l’ascesa di Virginia al Campidoglio.
Per governare purtroppo, lo stiamo vedendo giorno dopo giorno, la sola onestà non basta. Dei Cinquestelle capitolini si sta dicendo, da settimane, un po’ di tutto, ma non c’è nessuno di loro che sia stato accusato di avere approfittato del potere per interesse personale, come è stata invece la regola in passato per generazione di governanti. La “novità” però, per il cittadino di Roma, si ferma qui. Ripetere che tutto funziona come prima è un inevitabile sparare sulla Croce Rossa. I trasporti e la pulizia della città sono quelli di sempre, gli autobus e la metropolitana “carri bestiame”, che ancora un anno fa facevano l’apertura delle prime pagine e dei siti internet dei giornali di tutto il mondo. E che, in concomitanza con l’inchiesta della magistratura su Mafia Capitale, hanno mostrato al mondo intero il triste declino di Roma. Che, dopo essere stata a varie riprese nei secoli un faro di civiltà, nasconde oggi i suoi capolavori artistici in angoli della città così sporchi ed infrequentabili, che nessun paese, nemmeno quelli di più recente sviluppo, tollererebbe.
Detto questo per la serie “facciamoci del male”, rimane il fatto che lo sconcerto crescente davanti alla indecifrabilità della politica dei Cinquestelle capitolini. Apparentemente, malgrado i ripetuti interventi dei vertici del Movimento, cioè della coppia Grillo&Casaleggio, la giunta guidata dalla sindaca Raggi non dà l’impressione di essersi messa al lavoro con dei progetti precisi. L’ordine di scuderia di “non parlare” con i giornalisti non consente di avere le informazioni che tutti gli altri Comuni d’Italia (e del mondo…) forniscono alla stampa, così ogni analisi di ciò che l’amministrazione comunale sta facendo è impossibile. A parte il fatto che il silenzio dei grillini è nettamente in contrasto con la “trasparenza” di cui essi stessi si affermano paladini, è sotto gli occhi di tutti quanto questo modo di fare sia dannoso anche per il M5S, la cui credibilità – almeno nelle chiacchiere sentite nei bar o per strada – è in netto ribasso. Il concetto espresso, che è ancora positivo, è di un’attesa sempre più insofferente. Come a dire, “se ci siete battete un colpo”.
Sulle principali questioni sul tappeto – dall’Atac all’Ama allo stadio della Roma ai campi rom e alle periferie – la Giunta non è riuscita finora a trasmettere ai cittadini un solo messaggio che spieghi con chiarezza quale è la posizione del Comune. diviso. E confondere ancora più le idee dei romani, e a minarne ulteriormente la fiducia, sono giunte negli ultimi giorni le “giravolte” di Beppe Grillo a livello di collocazione internazionale del M5S. L’uscita dei Cinquestelle dal gruppo parlamentare europeo di Nigel Farage (l’artefice dell’uscita via referendum della Gran Bretagna dall’UE) per passare in quello degli europeisti ultra-convinti dell’ALDE ed il rientro precipitoso nell’Ukip quando Alde ha chiuso la porta in faccia a Grillo non incidono direttamente su governo della città di Roma ma rivelano che il M5S attraversa una fase che diredi incertezza è poco. Sembra chiaro che i grillini, al di là della volontà e dell’impegno dei loro militanti, non sono che strada prendere. Nè in Italia né in Europa. Oltre che a Roma.
Uno sviluppo, va detto, che pochi prevedevano. Fino a poco tempo fa tutto sembrava chiaro, nella strategia di un M5S che in Italia ha conquistato sei mesi fa il prestigioso comune di Roma Capitale e quello di Torino e sembrava avviato ad uno scontro frontale con i partiti tradizionali per la conquista di Palazzo Chigi. Mentre all’estero, dopo il successo del referendum per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE, c’è stato, negli Stati Uniti, il clamoroso successo , contro ogni previsione, di Donald Trump. Il vento “populista”, lo stesso che spinge i grillini, sembrava di ottimo auspicio per lo scontro finale. Poi, come detto a sorpresa, il tentativo (fallito)di Grillo di pilotare il M5S tra i liberali ultra-europeisti. Una scelta che ha spaccato ancor più il movimento, già diviso sul nuovo codice etico che lascia da parte alcuni dei principi basilari del M5S (le dimissioni in caso di avviso di garanzia) per salvare, dicono i militanti che non approvano, quegli esponenti grillini (come Virginia Raggi) che prefigurano un nuovo M5S “di potere” e, come spera Grillo, “di governo”.
Bisogna effettuare il login per inviare un commento Login