Nel centro storico vince “dehor selvaggio” - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Nel centro storico vince “dehor selvaggio”

commercio_selvaggioUN giro d’affari che supera i 500 milioni di euro, interessa quasi 2mila imprese e dà lavoro a 6mila persone. È il business dei dehors calcolato dalla Cna di Roma solo per il I e il II municipio, le aree dove le occupazioni di suolo pubblico da parte delle attività di ristorazione sono più intense. Un business contestato perché – come dimostra l’obbligo imposto agli esercenti di Ponte Milvio di smontare tutte le istallazioni esterne – una fetta consistente degli affari deriva dalle occupazioni illegali che raggiungono, in media, il 30% del totale. Questo significa, sulla base dei calcoli elaborati dalla Cna, che solo nei due municipi di riferimento i dehors illegali garantiscono ogni anno alle attività commerciali ricavi per almeno 140 milioni di euro. La fetta più grande si concentra nel I municipio, quindi nel centro storico. In questo quadrante le occupazioni di suolo pubblico (quelle riconosciute dal Comune) ammontano a 25mila metri quadrati, e riguardano 1.200 imprese che occupano 4.000 addetti. Secondo la Cna il fatturato regolare dei dehors di quest’area vale ogni anno 350 milioni di euro (270mila euro per singola azienda). Nel II municipio i numeri sono più contenuti: sono infatti 7.500 i metri quadrati occupati regolarmente, 450 le aziende e 1.200 gli addetti impegnati. Il fatturato invece derivante dalle attività esterne ammonta a 73 milioni di euro, in media 150mila euro per ciascuna azienda.
“Quello delle attività all’aperto – commenta Giovanna Marchese Bellaroto, presidente della Cna Commercio di Roma – è un settore vitale per Roma, tanto per numero di imprese quanto per occupati. Per questo chiediamo al comune politiche di valorizzazione per migliorare l’offerta qualitativa e l’accoglienza, e non politiche che penalizzino il settore. I tavolini fanno parte della cartografia antica romana e sono simbolo dell’accoglienza della città. Vanno bene le regole, ma devono servire per migliorare, non per far mo- rire le aziende”. Il tema accende il dibattito tra due fronti: da un lato i commercianti (resi più forti dalla sentenza del Tar che ha accolto il ricorso di un ristoratore di via di Tor Millina riconoscendo che il piano di massima occupabilità non è stato redatto correttamente), per i quali i dehors rappresentano un formidabile strumento di guadagno; dall’altro l’amministrazione cittadina, chiamata a far rispettare le regole. Oltre al tema del decoro, comunque centrale in molte aree storiche della città deturpate dall’invasione illegale dei tavolini selvaggi, c’è un tema di fiscalità. Nel I municipio, ogni anno, gli esercizi commerciali in regola pagano 8,5 milioni di euro per le occupazioni di suolo pubblico; 1,5 milioni di euro nel secondo municipio. Questo significa che – su un totale di 10 milioni di euro – ci sono almeno altri 3 milioni di euro che non vengono versati.
A questo si aggiunge una seconda questione, ancora più critica. Diverse inchieste giudiziarie, come quella condotta dal Gico della Guardia di Finanza su alcuni locali in centro gestiti da famiglie legate a cosche calabresi, hanno portato alla luce il legame che si crea tra la disponibilità economica dei gestori affiliati alle mafie, l’irregolarità delle loro pratiche di gestione degli esercizi commerciali e il rischio di corruzione nei confronti dei pubblici ufficiali che dovrebbero far rispettare queste regole. Si tratta di un fenomeno diffuso che, almeno nell’inchiesta della Finanza ma anche in quella condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri sui locali legati alla catena pizza Ciro e vicini alla camorra, hanno dimostrato una fitta e pericolosa rete di connivenze.

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