Renzi vacilla. Il vecchio Pd capitolino ora sogna la vendetta - Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio | Il Nuovo Corriere di Roma e del Lazio
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Renzi vacilla. Il vecchio Pd capitolino ora sogna la vendetta

 Da mesi, da troppi mesi il dibattito politico romano batte su un solo “chiodo”: Virginia Raggi. Lei che è inesperta, lei che non sa far ripulire le strade della città, lei che non riesce a risolvere il problema del traffico, lei che non riesce a ripulire l’amministrazione capitolina di quei dipendenti dalla produttività vicina allo zero, e via così su ogni problema della Capitale. Ed i partiti tradizionali, tutti a guardare, sperando nel passo falso della Sindaca, “prova” dell’incapacità del M5S di non essere capace di governare Roma e, a maggior ragione, l’Italia. In verità, di passi falsi della Sindaca ce ne sono stati più di uno, soprattutto per quanto riguarda le nomine dei componenti la  squadra che avrebbe dovuto aiutarla a governare. Errori di un apprendistato che il cittadino romano spera siano alla fine perché, lo scriviamo ancora una volta, Roma ha bisogno di essere governata. E Virginia Raggi quel mandato ce l’ha. Quel che vogliamo, noi del Nuovo Corriere di Roma, è che eserciti il proprio mandato fuori dal pantano di quella politica partitica che non tiene conto degli interessi dei cittadini ma ha come obiettivo principale l’auto-sopravvivenza. Saranno poi i cittadini, in presenza di un bilancio, positivo o negativo lo si vedrà, a dare i voti.

 

Intanto non è inopportuno guardare anche a ciò che stanno facendo “gli altri”, cioè i partiti tradizionali che Matteo Renzi, se fosse un grillino, non esiterebbe a chiamare “gufi”. In particolare il Partito democratico, per decenni “dominus” assoluto di tutti gli aspetti della realtà romana e non solo sul piano politico. Almeno dagli anni Novanta del secolo scorso in poi, e nonostante la breve “finestra” di tempo in cui sindaco della Capitale è stato Gianni Alemanno (che non è stato certamente migliore dei suoi antagonisti di sinistra), non c’è stata foglia che si sia mossa a Roma, sul piano dello sviluppo, dell’economia e della cultura, senza il consenso o addirittura lo stimolo della sinistra egemonizzata  dai partiti post-PCI. Un potere quasi assoluto, favorito anche dalla debolezza del centrodestra e dalla diffusa corruzione, messo in difficoltà dall’arrivo sulla scena politica del M5S, ma che grazie anche alla componente sindacalista rimane molto forte. E che ha ora un nuovo protagonista, il partito nato dall’ennesima scissione a sinistra, quell’ “Articolo 1 – Movimento dei democratici e progressisti” che, secondo Renzi, è stato pensato da Massimo D’Alema per far rinascere proprio il PCI.

 

Difficile prevedere quale sarà l’impatto sulla vita politica nazionale del nuovo partito, accreditato dai sondaggi di un consenso pari al 6% / 8%. Quel che si può tranquillamente prevedere è che a Roma possa avere un discreto successo. Il PD che negli anni ha governato Roma ha sempre avuto come riferimento il “sistema” ex e postcomunista, quello di cui D’Alema e una delle espressioni più visibili. Questo è stato chiaro quando il “rottamatore” Renzi ha messo nel mirino il segretario Pierluigi Bersani: nella Capitale, alle primarie, fu la vecchia guardia piddina (e dalemiana) a imporsi in diciannove dei 20 seggi approntati per l’occasione. E l’unico sfuggitole non andò a Renzi ma a Beppe Civati, uno che poi da PD è uscito. Renzi non ha mai nascosto, ricambiato, di non gradire il PD romano, ed ancora oggi non mancano le frizioni tra il vecchio PD e il PDR, cioè il PD di Renzi. Il “sistema Pd” della Capitale, secondo alcuni osservatori, potrebbe  rivelarsi più difficile da conquistare di quanto si pensi.

 

Si tratterà in ogni caso di una lotta dura  e, se è vero che i sondaggi danno Renzi vincente alle primarie con il 65/67per cento dei consensi sul piano nazionale, nessuno si sente di escludere che a Roma le cose possano andare diversamente. A farlo pensare sono numerosi elementi. Il primo è che, nonostante i suoi sforzi, il “Rottamatore” non è riuscito in tre anni a smontare il “sistema Pd” della Capitale, sistema che rimane nel suo insieme ostile ai cambiamenti riformatori promessi da Renzi, che almeno a parole lasciano intravvedere un Pd più moderno ma – e questo a Roma  è un pericolo – più trasparente e più lontano dal sistema consociativo che ha favorito, non a caso, lo svilupparsi del fenomeno di Mafia Capitale ora all’esame dei tribunali. Il secondo è che il nuovo movimento dalemiano-bersaniano dispone nella Capitale, oltre agli esponenti di primo piano, anche di tanti “nostalgici” (si può dire così?) del vecchio PD, inseriti nell’apparato, che per nulla al mondo sono disposti a tollerare la “boria” renziana.

 

E poi, soprattutto, a Roma c’è un uomo che renziano non è, e che i francesi definirebbero “en riserve pour la République”: il Governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Il presidente della Regione non è mai stato renziano ma neppure un aperto oppositore all’ex sindaco di Firenze. Ha fino ad oggi volutamente scelto un profilo basso, e quando chi cercava nel partito un anti-Renzi non si è prestato ad alcun gioco, chiamandosi fuori da schieramenti e complotti. Solo l’accelerazione di Renzi per il congresso, lo ha spinto a posizioni critiche più forti, sulla linea del ministro Andrea Orlando, che si è candidato alle primarie come possibile elemento di congiunzione tra renziano e scissionisti. E difatti, appena saputo della candidatura di Orlando, Zingaretti  ha annunciato che la sosterrà, spiegando che il ministro della giustizia può essere “la novità” di cui c’è bisogno “per cambiare il PD. Perché così non va. Ci vuole innovazione, protagonismo, coinvolgimento di chi ne fa parte, collegialità”. Per Zingaretti “si deve allargare, rafforzare un campo di forze intorno al Pd, per un nuovo centrosinistra, altrimenti rischiamo di continuare con le sconfitte anche nelle elezioni amministrative e soprattutto, di isolarci nella ricerca di un progetto che ha bisogno delle idee di tutte e tutti”.  Basta con la Regione, candidatura in vista per le prossime politiche? ”Io sicuramente voglio contribuire di più al dibattito nazionale. E posso mettere a disposizione un’esperienza politica che ha risollevato la regione Lazio” la risposta del Governatore.

Carlo Rebecchi

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